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L’asso delle Asse

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

In attesa dell’inaugurazione, a maggio, del museo della «Pietà Rondanini» di Michelangelo (cfr n. 349, gen. ’15, p. 20), il Castello Sforzesco cala l’altro suo asso in vista di Expo e presenta il restauro, in corso d’opera ma già ricco di novità, della Sala delle Asse (cfr. n 332, giu. ’13, p.27), a cui Leonardo lavorò fino alla sua partenza da Milano nel 1499, alla caduta di Ludovico il Moro. E proprio Ludovico il Moro, sebbene sotto una veste figurata e araldica, è il protagonista del più emozionante recupero di questo cantiere condotto dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e diretto da Michela Palazzo della (ex) Direzione Regionale del Mibact, affiancata da un comitato scientifico di personalità internazionali presieduto da Claudio Salsi, direttore della Soprintendenza Castello, con Francesca Tasso vicepresidente. È stata infatti praticamente completata la pulitura ed è stato messo in sicurezza il superbo «monocromo» (d’obbligo ormai le virgolette) della parete a nord-est, raffigurante radici che si insinuano, spaccandole, tra le rocce e che, come suggerì Pietro C. Marani già nel 1982, sono radici di gelso, in dialetto lombardo «moro» o «morone», omaggi figurati dunque al Signore di Milano, al pari degli alberi (di gelso anch’essi: Luca Pacioli nel De Divina Proportione, 1509, citava la sala come «camera de’ moroni») che si alzano nella Sala delle Asse e intrecciano i loro rami sulla volta formando un folto padiglione di verzura che all’inizio del Novecento fu quasi interamente ridipinto per volere di Luca Beltrami. La meravigliosa porzione di pittura delle radici sicuramente autografa di Leonardo scoperta 60 anni fa e da allora considerata un monocromo a sé stante è invece, spiega Cecilia Frosinini dell’Opd, quasi certamente un rifinitissimo disegno preparatorio (come Leonardo usava fare sui supporti definitivi dei suoi dipinti) per la decorazione della sala: l’affioramento sulla parete opposta del disegno preparatorio di un piccolo paesaggio in lontananza ha infatti suggerito che il cosiddetto «monocromo» fosse parte di un programma iconografico geniale e innovativo che interessava tutta la sala, ma che fu interrotto a causa della precipitosa partenza dell’artista. Il programma avrebbe trasformato la sala in un padiglione di gelsi posto in un paesaggio aperto grazie a uno straordinario «sfondato» che avrebbe mimato i «zardini» (giardini) che si aprivano fuori della sala, entro la Ghirlanda delle mura poi abbattuta. L’intervento, avviato nei primi anni Duemila da Maria Teresa Fiorio con una minuziosa mappatura, riaperto nel 2009 dal Mibact con il Comune di Milano, proprietario del Castello, e ripreso con l’Opd nel 2013, è supportato da A2A (1,5 milioni di euro) con Arcus. Nei mesi di Expo il restauro verrà interrotto e i ponteggi parzialmente smontati per permettere l’accesso al pubblico, che potrà vedere da vicino il «monocromo» e sarà guidato in una spettacolare rilettura della Sala delle Asse da un sistema multimediale di proiezioni, ologrammi e illuminazioni mirate realizzato da Culturanuova con il supporto di Intesa Sanpaolo (sul sito www.saladelleassecastello.it si possono seguire i restauri). Intanto mentre si attende la mostra di Leonardo in Palazzo Reale (dal 15 aprile), è stato siglato nelle scorse settimane il protocollo d’intesa fra Regione Lombardia (Cristina Cappellini, assessore), Soprintendenza Bap (Alberto Artioli, soprintendente) e Fondazione Stelline (PierCarla Del Piano, presidente) che fa della Fondazione Stelline il polo culturale del «Genio di Leonardo»: un luogo di divulgazione a completamento della visita al vicinissimo «Cenacolo» con sede nel palazzo che insiste sulla vigna e sugli «orti di Leonardo», donatigli da Ludovico il Moro.

Ada Masoero, 02 marzo 2015 | © Riproduzione riservata

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