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Rebecca Romere, presidente di Registrarte

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Rebecca Romere, presidente di Registrarte

L’Italia non ha ancora registrato i registrar. Ma adesso...

Nei musei pubblici da più di vent’anni questi funzionari ogni giorno si occupano di prestiti e movimentazione di opere, ma non sempre figurano con questa dicitura: manca infatti il riconoscimento ufficiale della professione

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Arianna Antoniutti

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Curatore, restauratore, storico dell’arte, comunicatore: sono numerosi i profili professionali al lavoro nelle realtà museali pubbliche e private. Ma, fra i mestieri museali, ce n’è uno che assomma in sé competenze trasversali e che, negli ultimi anni, sempre più si sta rivelando come fondamentale: il registrar. Al registrar sono affidate, fra l’altro, tutte le mansioni relative ai prestiti (in entrata e in uscita), la relativa contrattualistica, le pratiche ministeriali e i documenti assicurativi. «È indispensabile, dice Rebecca Romere, dal 2021 presidente di Registrarte, Associazione Italiana Registrar di opere d’arte, che il registrar sappia leggere i contratti e avere cognizione del lessico legale, ma deve anche saperlo tradurre nella fase operativa». 

La denominazione, come chiarisce l’Atto di indirizzo sui criteri tecnico scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei emanato dal Ministero della Cultura, «non è felicemente traducibile in italiano per la pienezza dei suoi compiti di raccordo tra i vari attori coinvolti: consegnatario, curatore/direttore, restauratore, oltre alle professionalità esterne al museo». Paradossalmente, a così tante competenze (legali, di logistica, museologia, archivistica e restauro) in Italia, è associato un vuoto normativo: la professione di registrar non è ancora riconosciuta, né a livello di formazione, né nel Codice dei Beni culturali. Ma, continua Rebecca Romere, «i tempi sono ora maturi perché questo ritardo sia colmato. Nell’ultimo anno abbiamo avviato un dialogo con il MiC sul tema del riconoscimento della professione, incontrando attenzione al tema e disponibilità». È un’intesa quanto mai importante, soprattutto in vista della European Registrars Conference (Erc), la conferenza europea dei registrar che si terrà a Roma a novembre.

Chi è il registrar

Dall’inglese «to register», è la persona che «registra»: nelle prime grandi collezioni americane, i registrar avevano il compito di inventariare le opere e mantenerne il «registro» in entrata e uscita. Negli attuali musei e nelle collezioni private, gestiscono i prestiti e gli aspetti contrattuali di opere in entrata e uscita per mostre temporanee, allestimenti permanenti e comodati. Redigono le pratiche ministeriali e i documenti assicurativi, coordinano la movimentazione in e out, anche accompagnando le opere nel trasporto. 

Quando è nata la figura del registrar?
Negli Stati Uniti questa figura è attiva dagli anni ’50. I professionisti americani sono riuniti fin dal 1978 in un comitato professionale, il Registrars Committee, riconosciuto dall’American Association of Museums (Aam). In Gran Bretagna la figura del registrar nasce nei primi anni ’70: lo Uk Registrars Group viene fondato nel 1979 e conta circa 250 membri. Da qualche anno il registrar esiste anche nei maggiori musei di Francia, Germania, Danimarca, Olanda, Belgio e Spagna. In Francia e Germania sono presenti associazioni di categoria, rispettivamente l’Association Française des Régisseurs d’œuvres d’Art (Afroa) e Registrars Deutschland; in Spagna opera l’Armice (Asociación Española de Registros e Instituciones Culturales Españolas). In Italia Registrarte, nata nel 2000 grazie all’impegno di 16 soci fondatori con l’obiettivo di definire e promuovere il profilo professionale e le «skill» del registrar, conta oggi 150 soci iscritti, che lavorano in musei pubblici e privati, fondazioni, gallerie, aziende che organizzano mostre, ma non mancano i freelance. Nelle realtà private, i registrar compaiono normalmente negli organigrammi, nei musei pubblici i registrar esistono, e ogni giorno si occupano di prestiti e movimentazione di opere, però non sempre figurano con questa dicitura. Il motivo è la mancanza di riconoscimento ufficiale della professione nel Codice dei Beni culturali. 

Ora, dopo un percorso di affermazione e di divulgazione lungo vent’anni, stiamo raccogliendo ottimi risultati, grazie all’affiatato lavoro in team del direttivo della nostra associazione: Daniela Sogliani, Ghislaine Pardo, Enrica Passalacqua, Anna Chiara Ferrero e Alberto Mignani. In questo momento rappresentiamo, con una sorta di albo professionale (sebbene ancora non ufficiale), i registrar in Italia, in attesa del riconoscimento, sia in ambito pubblico che privato, da parte del Ministero della Cultura. A partire dal 2022, abbiamo modificato strutturalmente la gestione dell’associazione, con specifiche aree di sviluppo, ci siamo dotati di un nuovo sito web, registrarte.org, di canali social, e da maggio 2022 siamo entrati nel Terzo settore. Tra le nostre principali finalità vi è la promozione dell’attività di ricerca e studio. Nel settembre 2022, ad esempio, abbiamo organizzato un convegno sul tema della sostenibilità. All’interno dei musei, l’ufficio mostre è il settore che crea maggiore inquinamento, con trasporti e imballaggi, e dunque consumo di legno ed emissione di Co2. Ci siamo chiesti come diminuire il tasso di inquinamento. Sicuramente attraverso il riuso e il riciclo, sia degli imballaggi sia delle strutture allestitive, e attraverso un’attenta programmazione e calendarizzazione. E ancora, con il virtual couriering, sfruttando la tecnologia per essere presenti, da remoto, in fase di allestimento delle mostre. È una professione che si sta ovviamente evolvendo. La prima Conferenza Europea dei Registrar si è tenuta a Londra nel 1998. Gli inglesi, in questo settore, sono da sempre all’avanguardia, noi stiamo recuperando.

Perché in Italia non c’è ancora stato un riconoscimento ufficiale?
Probabilmente quando è nata la professione mancava una reale consapevolezza della sua importanza all’interno della struttura museale. Credo che non ci fosse la giusta congiuntura. Nel Codice dei Beni culturali del 2004 non è previsto il registrar. Le istituzioni museali pubbliche devono, ovviamente, allinearsi alle prescrizioni del Codice, e quelle private seguono, come modello, le pubbliche. Ma i privati (forse per una più spiccata sensibilità verso l’aspetto anche economico rappresentato dalle opere d’arte) hanno compreso per primi l’importanza dell’operato di un professionista che possa vantare un imprinting legale, amministrativo e assicurativo. Nel corso dell’ultimo anno, sul tema del riconoscimento, abbiamo aperto un canale di dialogo con il Ministero della Cultura. Siamo a disposizione del Ministero per cercare assieme di costruire un profilo professionale che possa interagire con tutte le altre figure previste nel Codice.

Come si diventa registrar?
Oggi, in Italia, per la formazione alla professione Registrar possiamo contare su di un Master di primo livello, che Registrarte patrocina, erogato da Accademia Aldo Galli di Como, del gruppo Ied, e coordinato da Alessandra Donati. Durante il mio percorso di studi, io ho invece frequentato nel 2015 il corso di formazione avanzata dedicato a questa figura professionale che si teneva nell'allora sede Ied di Venezia, ormai chiusa da alcuni anni. Esistono poi altri percorsi meno strutturati, come ad esempio un corso del Castello di Rivoli sul «collection management». Al momento, non è definito un curriculum specifico, ma di sicuro l’esperienza sul campo è ormai rilevante. Una componente importante della formazione può essere lavorare per una ditta di spedizioni, perché davvero, in quel contesto, si comprende che cosa accade a un’opera, fase per fase, nel momento in cui esce dalla porta di un museo.

La terza edizione di Erc, nel 2002, si svolse a Roma, e tornerà nella capitale dal 6 all’8 novembre. Ventidue anni: che cos’è cambiato da allora?
Molto è cambiato, soprattutto in termini di sensibilità e consapevolezza del valore del registrar. Dietro l’Erc di Roma c’è la volontà di riportare in Italia questo evento, affermando con grande energia il nostro ruolo. L’Italia è tra i maggiori prestatori di opere al mondo, abbiamo un immenso patrimonio Unesco, perché non proporci? Il riscontro, fin da subito, è stato positivo, anche da parte degli sponsor, italiani e internazionali. Questo ci ha permesso di partire con un grosso progetto. Abbiamo individuato la sede, l’Auditorium Parco della Musica, abbiamo aperto le iscrizioni, e lanciato la call for papers (erc2024.org). Al di là del tema del riconoscimento professionale, che toccheremo all’avvio dei lavori, in un panel istituzionale, parleremo di sostenibilità e Made in Italy, di che cosa significa lavorare in un Paese che pone la grande sfida logistica dei musei ospitati in palazzi storici. Abbiamo un target di 800 partecipanti, ci saranno colleghi italiani, europei, americani. Sappiamo che c’è molta attesa. Ci meritiamo questo Erc, e auspichiamo il supporto e la presenza del ministro Gennaro Sangiuliano, al quale abbiamo chiesto di aprire la prima giornata di lavori, assieme a Icom-International Council of Museums e alla Fondazione scuola del patrimonio. Riteniamo la presenza del ministro, in una vetrina di prestigio internazionale, davvero imprescindibile. L’Italia non è seconda ad altri Paesi, il riconoscimento professionale del registrar sarebbe l’esito più coerente, corretto e logico di un percorso lungo vent’anni.

Arianna Antoniutti, 15 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

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