Dalla Galleria Milano, prima in via della Spiga (dal 1964 al 1973), poi al piano terreno del gran palazzo nobiliare che si apre tra via Manin e via Turati, sono passati, sempre «in tempo reale», la Pop Art inglese, l’Azionismo viennese, il gruppo Gutai, alcuni grandi artisti allora emergenti, come Georg Baselitz, Joseph Beuys e Blinky Palermo, autori americani a quei tempi poco noti, da Ed Ruscha a Fred Sandback, oltre agli italiani Agnetti, Baruchello, Mari, Varisco, Veronesi e molti altri.
Anima della galleria è stata per 55 anni, fino alla morte nel 2019, la minuta, indomabile Carla Pellegrini Rocca, cui è succeduto il figlio Nicola Pellegrini (Milano, 1962; artista celebre con Ottonella Mocellin), che con gli storici collaboratori della madre, pur abitando lui a Berlino, ha portato avanti la galleria con nuove mostre importanti fino al 2022, quando, entrato in forze nei saloni affrescati di via Manin un marchio della moda, ha deciso di chiuderla. Con l’impegno, però, di conservare e valorizzare il ricchissimo archivio: un pezzo importante di storia della migliore Milano artistica del dopoguerra e dell’inizio del XXI secolo.
Due anni di lavori, tra riordino dell’archivio e restauro dei nuovi spazi, nel cortile di un palazzo tipicamente milanese non lontano dalla Fondazione Prada, e il 18 marzo, in via Arcivescovo Romilli 7, si apre la Fondazione Galleria Milano Ets, istituita da Nicola Pellegrini e dal nipote Baldo e guidata dallo stesso Nicola con Bianca Trevisan e Giovanni Oberti, che, oltre a conservare e aprire alla consultazione l’archivio storico della galleria e i materiali di oltre mille artisti che nei decenni hanno condiviso con essa la documentazione sulla propria attività, si propone di offrire competenze e servizi per la conservazione e promozione di ulteriori archivi di artisti e di realtà dell’arte contemporanea attraverso il progetto «Archivi Riuniti».
Come ci spiega Nicola Pellegrini, «abbiamo alle spalle un’esperienza lunga, e abbiamo visto come molti artisti, anche fra quelli della Galleria Milano, una volta deceduti sono finiti in mani inadeguate o timorose di affrontare le spese, cospicue, necessarie per organizzare un archivio. La Fondazione si propone di offrire loro una consulenza efficace, organizzando anche un hub in cui si possano condividere molte spese e creando un luogo virtuale in cui far confluire, gestendoli, gli archivi d’artista. Possiamo infatti contare su un’archivista molto esperta, che ha messo a punto un software dedicato, con cui realizzare un utilissimo database».
A inaugurare la Fondazione è la mostra «Piazza senza nome» (fino all’8 giugno) di Alexander e Sasha Brodsky (nati a Mosca, nel 1955 il padre, un grande artista, e nel 1995 il figlio, artista visivo, stampatore e musicista che oggi vive e lavora a New York). Dei due, Alexander ha creato la potente installazione in terra cruda (tanto grande da dover essere realizzata dentro la Fondazione) che racconta, poeticamente, la solitudine della vita metropolitana; Sasha gli acquerelli che, dalle pareti, la circondano e la completano.
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