Michele Cuppone
Leggi i suoi articoliUn momento di raccoglimento, speranze che si rinnovano, vicinanza e apertura verso l’altro. C’è un po’ di tutto questo nel senso del Natale colto e trasmesso nella «Natività con i santi Lorenzo e Francesco» da Michelangelo Merisi da Caravaggio, personaggio impulsivo per natura, così almeno fanno pensare fonti e documenti, eppure capace di concepire e realizzare magistralmente una scena di grandi dolcezza e quiete. Ciò avveniva a ridosso dell’impegno sui primi quadri per la cappella Contarelli, più precisamente tra il 5 aprile e il 20 novembre del 1600, come recenti studi e scoperte d’archivio hanno finalmente chiarito.
È un Caravaggio, in effetti, lontano dal dramma, dalla spazialità e dalla stessa tavolozza che caratterizzeranno la produzione dell’ultimo tempo, in particolare quella siciliana. Eppure è a quest’ultima fase che qualche antico biografo aveva riferito l’esecuzione dell’opera, che comunque gli era stata richiesta per l’altare maggiore dell’oratorio di San Lorenzo a Palermo. Né è un caso che Roberto Longhi l’abbia descritta dipinta «sulla via del ritorno» verso Roma, come rievocazione di esperienze precedenti, persino di ricordi lombardi. Difficile restare insensibili davanti a questa immagine. Lo stesso artista, disponendo i personaggi attorno al Bambino adagiato a terra e lasciando davanti un posto che di volta in volta ciascuno potrà occupare, invita l’osservatore a prendere parte all’Adorazione.
Capolavoro assoluto, un tempo incastonato nei magnifici stucchi settecenteschi di Giacomo Serpotta, la «Natività» è molto più di un dipinto. Fu trafugata nell’ottobre del 1969 e mai più recuperata, la sua assenza ne ha creato il mito. Ha ispirato la creatività di artisti e scrittori fino a quella di chi millanta di conoscerne la sorte. Oltre mezzo secolo è trascorso da quella maledetta notte del 1969. Per questa santa notte è sempre accesa la speranza, la preghiera, per chi crede, che sia «sulla via del ritorno».
L'autore è un Ricercatore
LA NATIVITÀ NELL'ARTE