Arabella Cifani
Leggi i suoi articoliCi sono Nazioni dalle storie difficili, continuamente travagliate da guerre e invasioni dove pare che nessuno abbia mai potuto vivere in pace e dove le arti sono fiorite con fatica. La Polonia è una di queste. Sono problematiche che traspaiono scorrendo le pagine di un importante libro dedicato alla ritrattistica in Polonia fra Cinquecento e Ottocento. Il libro è stato scritto da Jan K. Ostrowski, uno dei più illustri storici dell’arte polacca, già professore a Cracovia, direttore del Castello Reale di Wawel a Cracovia, presidente dell’Accademia polacca delle arti e delle scienze. Era uscito in lingua polacca nel 2019 (Portret w dawnej Polsce) ma, causa pandemia, ebbe poca diffusione. Tradotto ora in inglese e ristampato, grazie allo sforzo congiunto del Museo del Palazzo di Re Jan III a Wilanów, del Castello Reale di Wawel e della benemerita IRSAFondazione per la promozione della cultura di Cracovia (che edita una delle più importanti riviste di storia dell’arte del mondo, «Artibus et historiae»), può finalmente entrare nel circuito dei testi fondamentali e diventare un punto di riferimento per i lettori desiderosi di guardare al di là dei centri artistici dell’Europa occidentale.
Ostrowski prende in considerazione tutte le forme di ritrattistica diffuse in Polonia compresi i moltissimi ritratti destinati a decorare le casse da morto e gli stendardi funebri. Dimostra, inoltre, come le partizioni della Polonia del XVIII secolo (fra russi, tedeschi, austroungarici) abbiano influenzato la ritrattistica e l’identità nazionale. Anche in Polonia il ritratto assolve a complesse funzioni che vanno dal desiderio di commemorare i defunti alla necessità di rappresentazione e propaganda. Sono 613 i ritratti presentati che raffigurano soprattutto membri della nobiltà di cui riflettono aspirazioni e posizione sociale. Anche se oggi questi quadri sono finiti in gran parte in musei, privati del contesto originale in cui sono stati creati, sono comunque ancora sufficientemente persuasivi nel presentarci le caratteristiche di un immaginario nazionale.
L’autore legge le opere in relazione ai tempi in cui sono state realizzate e indica i dettagli che determinano i messaggi sottesi da ciascuna. Evidenzia l’intenzione parenetica che essi esprimono e l’enfatizzazione dei ruoli sociali delle persone ritratte, soprattutto nel contesto della complessa gerarchia degli uffici e dei ruoli di potere dell’antica Polonia. Si sofferma, inoltre, in uno dei capitoli più interessanti, sull’abbigliamento (dei funzionari, delle dame, dei militari e degli ecclesiastici), sugli attributi e gli arredi nei ritratti, tenendo conto che i polacchi usarono uno stile di abbigliamento particolare fino all’Ottocento. Molti di questi nobili personaggi vestono però all’orientale e paiono turchi. La pittura polacca autoctona non appare purtroppo di grande qualità e i ritratti presentati si rianimano solo quando intervengono a realizzarli artisti stranieri, segnatamente italiani, francesi, fiamminghi o tedeschi.
L’arte polacca originale è fortemente legata a schemi ancora tardobizantini, come evidenziano ritratti/icona di alcune regine come quello di Anna Jagellona (1523-96), ultima della sua dinastia, che sembra una basilissa di Costantinopoli anche se aveva una madre italiana, o quello della sua sfortunata nuora Barbara Radziwiłł (1520 ca-1551). Fra gli usi ritrattistici polacchi risalta quello del «ritratto da cassa da morto», di forma solitamente esagonale, che veniva sistemato alla testa della bara durante le esequie e poi appeso nella chiesa di sepoltura: un fatto che collega curiosamente gli usi polacchi alla ritrattistica del Fayyum. Non si può negare che questa vastissima sequenza di ritratti, così raffinatamente analizzati da Ostrowski, sia comunque inquietante.
Nel passare dei secoli vediamo avvicendarsi uomini grandi come armadi solitamente dall’aspetto bellicoso, armati di mazze e spade che chiaramente hanno intenzione di usare. Le donne non sono da meno. Solo in epoca ottocentesca i polacchi deporranno un po’ del tono guerriero per avvicinarsi a stilemi europei, anche se le signore si faranno quasi sempre ritrarre ammantate di fitti veli neri: tutte vedove? Questi polacchi di pessimo umore che si affacciano a noi dal passato evocano, per associazione, i ritratti del Palazzo di don Rodrigo ove «si vedeva un antenato guerriero, terrore de’ nemici e de’ suoi soldati, torvo nella guardatura, co’ capelli corti e ritti, co’ baffi tirati e a punta (…), altro antenato, magistrato, terrore de’ litiganti e degli avvocati (…), una matrona, terrore delle sue cameriere; un abate, terrore de’ suoi monaci: tutta gente in somma che aveva fatto terrore, e lo spirava ancora dalle tele». Parafrasando un pensiero di Wisława Szymborska, dobbiamo però notare che ognuno di questi quadri riflette in realtà la vita dell’effigiato e costituisce una vicenda a sé. Sono ritratti difficili, spesso duri, che forse non vorremmo avere in casa, ma che ci attirano comunque perché animati da una vita profonda e intrecciati inestricabilmente alle fila del destino della loro magnifica e tormentata Nazione.
Portraiture in Old Poland
di Jan K. Ostrowski, trad. dal polacco all’inglese di Nicholas Hodge e Sabina Potaczek-Jasionowicz, 508 pp., 613 ill., Castello Reale di Wawel, Cracovia 2024, € 120
Altri articoli dell'autore
Nuovi e importanti studi e scoperte, con indagini diagnostiche all’avanguardia, sull’enigmatica tavola del «San Giovanni Battista» della Pinacoteca Ambrosiana di Milano
In un nuovo volume edito dalla Fondazione Zeri, Susanna Zanuso passa in rassegna tutti i più bei nomi dell’arte plastica meneghina dell’epoca (Biffi, Prestinari, Rusnati, Bellandi, Vismara, Bussola...), illustrati in una straordinaria campagna fotografica
Lo studio della collezionista francese Nikita de Vernejoul ci restituisce un caravaggesco di alto profilo
Al Fine Arts Film Festival di Venice in California, il film sul pittore emiliano vince il Best Historical feature