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Francesca Romana Morelli
Leggi i suoi articoliRoma. La valorizzazione della cultura artistica romana attraverso il disegno unitario delle grandi mostre sul Quattrocento (2008), il Settecento (2010) e il Rinascimento (2011) promosse nelle proprie sedi dalla Fondazione Roma Museo, prosegue con il «Barocco a Roma. La meraviglia delle arti», a Palazzo Cipolla dal primo aprile al 26 luglio, curata da Maria Grazia Bernardini e da Marco Bussagli, gli stessi autori della mostra sul Rinascimento, coadiuvati da un comitato scientifico composto da Anna Coliva, Marcello Fagiolo, Christoph L. Frommel, Anna Lo Bianco, Eugenio Lo Sardo, Stéphane Loire, Antonio Paolucci, Francesco Petrucci, Pierre Rosenberg, Sebastian Schütze, Maria Serlupi Crescenzi, Rossella Vodret, Alessandro Zuccari. L’organizzazione si deve alla Fondazione Roma-Arte-Musei, che ha ideato «un progetto ricco di eventi, spiega il presidente Emmanuele Francesco Maria Emanuele, che potremmo identificare con l’immagine metaforica del “sole barberiniano”: l’esposizione è nel mezzo di un “sistema eliocentrico”, i cui raggi sono rappresentati da iniziative in alcuni dei principali siti barocchi della città (cfr. box a p. 26, Ndr)». Lo stile Barocco scaturisce dall’intreccio tra il classicismo della scuola emiliana e motivazioni estetiche e religiose nuove, sulla spinta della Controriforma cattolica, che assegna all’arte il ruolo di dimostrare le sue «verità». «Il progetto espositivo è racchiuso in un arco temporale che va dal 1600 al 1680: dal momento chiave per la nuova pittura grazie alla presenza a Roma di Annibale Carracci, che, come coglie Bellori, recupera la lezione raffaellesca negli affreschi con il “Trionfo di Bacco e Arianna” a Palazzo Farnese, e apre la strada ai suoi allievi come Guido Reni, Lanfranco, Domenichino, alla morte di Gian Lorenzo Bernini e il successo di Carlo Maratta, la cui pittura virtuosa e composta divulgano gli esiti barocchi, spiega la Bernardini. «Il Barocco, prosegue la curatrice, lavora sull’immaginazione, l’impatto spettacolare, la capacità di coinvolgere soprattutto chi non crede. Svilupperà tutte le potenzialità del contrasto: luce e ombra, morte e vita, ordine e caos. Con Bussagli abbiamo individuato le linee guida che attraversano questo periodo complesso, cercando di documentare anche gli artisti stranieri che vennero a Roma, centro delle ricerche d’avanguardia come la Parigi dell’Ottocento. Abbiamo invece escluso i fenomeni di natura differente, come Caravaggio, la cui influenza sarà spiegata nei saggi in catalogo». In un allestimento scenografico, ispirato alla tensione dinamica del San Carlino di Francesco Borromini, si possono ammirare quasi duecento opere tra dipinti, sculture, disegni, mobilio e medaglie. Aprono gli artisti che hanno gettato le radici del nuovo linguaggio espressivo: tele enormi di Carracci, tra cui una «Santa Margherita» (Iras, Roma), di Lanfranco («Apparizione della Madonna ai santi Eremiti Paolo e Antonio» dal Kunsthistoriches Museum di Vienna), di Reni spicca «Atalanta e Ippomene» (Capodimonte), di Pieter Paul Rubens («San Sebastiano curato dagli Angeli» dalla Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Corsini, Roma). Si passa poi all’acme di questa tendenza, quando nel 1623 Urbano VIII Barberini sale al soglio pontificio e affida al venticinquenne Bernini la cura del cantiere di San Pietro (lo stesso papa costringerà Galilei all’abiura, ma la fine della concezione geocentrica del cosmo influenzerà gli schemi dinamici e complessi del Barocco). È anche l’inizio della rivalità tra Bernini e Borromini, quest’ultimo connotato da una ricerca carica di una tensione spirituale, interiore, austera. Le loro imprese architettoniche sono documentate da progetti, stampe, documenti di musei internazionali e archivi storici. Nello stesso periodo matura una delle più grandi stagioni della pittura ad affresco, culminante nella volta del salone delle feste in Palazzo Barberini dipinta da Pietro da Cortona (1633-39), del quale la mostra presenta tre monumentali tele, oltre a due dipinti con gli «Angeli musici» di Lanfranco, mai esposti dall’incendio scoppiato nell’Ottocento nella Chiesa dei Cappuccini a Roma e appositamente restaurati per intervento della Fondazione Roma-Arte-Musei. Tra gli stranieri si citano Nicolas Poussin, autore del «Trionfo di Ovidio» (Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Corsini, Roma), Simon Vouet con il «Tempo vinto dalla Speranza e dalla Bellezza» (Prado, Madrid). Non mancano busti di mano di Francesco Mochi, Alessandro Algardi, François Duquesnoy, Giuliano Finelli, oltre che di Bernini. «Alla fine Roma si trasforma in una città-spettacolo, conclude la Bernardini. Gli angeli si posano sui ponti con i simboli della passione, le fontane si popolano di una fauna esotica e mitologica. Le architetture fantastiche di Borromini si avvitano nel cielo, nelle piazze Bernini giunge a porre un obelisco in groppa a un irriverente elefante». Tra i massimi interpreti, ci sono il Baciccio, autore della volta della Chiesa del Gesù, del quale è visibile «L’allegoria della Giustizia» (Fondazione Roma), mentre di Carlo Maratta è esposto il drammatico dipinto con «Cristo e la Veronica» (Museo del Barocco - Collezione Lemme, Palazzo Chigi, Ariccia). Spiccano i bozzetti per le statue di Ponte Sant’Angelo e per l’«Estasi di Santa Teresa» di Bernini (Ermitage, San Pietroburgo). Infine si segnala la sezione tematica dedicata al paesaggio, anima del Barocco.
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