Palazzo Bentivoglio presenta dal 7 dicembre al 23 febbraio 2025 la mostra «Riassunto delle puntate precedenti. La Collezione Stame-Lanteri», a cura di Tommaso Pasquali e allestita da Ferruccio Laviani, che ricostruisce la collezione «fuori dagli schemi» che nel secondo ’900 abitò gli spazi del palazzo senatorio bolognese.
L’edificio, fra i più maestosi della città, fu avviato nel 1551, forse su disegno di Bartolomeo Triachini, dal ramo superstite della famiglia Bentivoglio: la corte nobile, ideata da Domenico Tibaldi sul ritmo di arcate ariose e classicheggianti, venne rimaneggiata da Giambattista Falcetti negli anni Venti del Seicento e l’interno reca affreschi settecenteschi di Ubaldo Gandolfi (1728-81), Nicola Bertucci l’Anconetano (1710-77) e Carlo Lodi (1701-65). Oggi, grazie alle iniziative del progetto culturale Palazzo Bentivoglio, gli spazi cinquecenteschi ospitano (dopo le cinque mostre monografiche realizzate dal 2019 partendo da opere e artisti nella collezione permanente), la mostra (dal titolo «rubato» a un’opera di Gianfranco Baruchello) che offre il racconto inedito di una stagione rara nel collezionismo italiano con la ricostruzione critica della raccolta di Antonio Stame e Vincenzina Lanteri, colti professionisti a lungo vissuti nel palazzo. Il legame con il palazzo e la città è la direttrice principale anche dello sviluppo della collezione permanente di Palazzo Bentivoglio sia per le acquisizioni d’arte antica, quasi giocoforza concentrate sulla Scuola emiliana, sia per le commissioni ad artisti contemporanei internazionali coinvolti negli spazi e nell’identità del palazzo. La Raccolta Stame, che si sviluppò proprio fra queste mura, conferma questo legame con la ricchezza degli stimoli di quella Bologna del secondo ’900, quando una coppia di professionisti di gran stima e successo e d’altrettante curiosità liberali e intellettuali seppe, con antesignano gusto ardito e internazionale, appassionarsi agli emergenti stimoli estetici e alle nuove opere dirompenti, impreviste, provocatorie.
Antonio Stame (Bologna, 1909-2001) è stato figura epocale dell’intellighenzia bolognese negli anni fervidi e inquieti dal secondo dopoguerra agli anni Ottanta. Notaio storico nell’ambiente cittadino, fin da giovanissimo fu accanito lettore e bibliofilo, e appassionato di musica (alla quale iniziò il figlio Federico, anch’egli notaio e figura eminente nella cultura cittadina, presidente dell’Associazione Bologna Festival), mentre «l’interesse per le arti figurative, specifica il figlio, data dalla fine della Seconda guerra mondiale quando, nel fervore della rinnovamento politico e sociale, Bologna fu luogo di svariate e innovative imprese culturali. La casa di famiglia a Palazzo Bentivoglio divenne consueto luogo di incontro di intellettuali e artisti bolognesi e forestieri: fra i pittori, ricordo Ilario Rossi, Pompilio Mandelli, Ciangottini, Barnabé e sua moglie Angela Cassanello e, in seguito, Sergio Vacchi e Luciano De Vita. Un legame speciale si creò con Luciano Minguzzi, il cui atelier di scultore si trovava a poche porte di distanza. Fu appunto il rapporto con questi artisti che stimolò mio padre che, partendo dai primi acquisti dagli artisti bolognesi, si invogliò alle acquisizioni internazionali. Tanto più che a quei tempi anche un normale professionista, dotato come suol dirsi “di naso”, poteva azzardarsi sul mercato internazionale in quell’avventurosa esplorazione che, negli ultimi anni, continuò la seconda moglie Vincenzina Lanteri».
Conservata al piano nobile, la Collezione Stame-Lanteri si strutturò fra gli anni 1940-80 pur senza mai essere oggetto di esposizioni o discussione critica, benché nota alle frequentazioni artistiche e critiche della coppia per il carattere innovativo delle scelte e la qualità museale di molte acquisizioni. Ricostruendo orientamenti e intuizioni di Antonio Stame e Vincenzina Lanteri negli anni centrali del ’900, la mostra racconta una collezione rimasta per anni «invisibile» se non agli assidui di Casa Stame e che oggi si ricostruisce nel suo nucleo significativo, da un lato a narrare quelle inclinazioni di gusto e quei respiri internazionali evidenti nella scelta di opere di Christian Schad, Max Ernst, Alberto Savinio, Filippo de Pisis, Alberto Burri, Louise Nevelson e Tom Wesselmann e dall’altro a evidenziare dallo sfondo i rapporti privilegiati della coppia con artisti e intellettuali e con quelle gallerie di ricerca e sperimentazione che fra gli anni Sessanta e Ottanta resero Bologna un centro nevralgico delle Avanguardie.