Viviana Bucarelli
Leggi i suoi articoliConsiderata una delle artiste più influenti della sua generazione, Louise Lawler emerge sulla scena dell’arte contemporanea negli anni ’80 nell’ambito di quella che verrà definita la «Picture Generation». Insieme a Cindy Sherman, Barbara Kruger, Sherrie Levine e Robert Longo è tra i protagonisti di quella che fu definita «Appropriation art» a seguito della storica mostra organizzata da Douglas Crimp all’Artists Space gallery di New York nel 1977.
La Lawler, nata a Bronxville, New York, nel 1947, ha studiato alla Cornell University, si è poi trasferita a New York nel 1969, dove ha lavorato da Leo Castelli ed è stata cofondatrice della galleria Metro Pictures, chiusa recentemente, nel 2021. Da sempre ha scattato fotografie d’opere di altri artisti nell’ambito di installazioni nei musei, nelle case d’aste, nelle dimore dei grandi collezionisti ma anche nei depositi e negli scantinati.
Per lei la fotografia è uno strumento concettuale che le permette di ripensare e ricreare le opere d’arte cui conferisce una nuova vita. Con la sua ricerca cerca di spostare l’attenzione sul sistema dell’arte e i suoi molteplici meccanismi. Tra il 1972 e il 1981 ha prodotto una storica serie dal titolo «Birdcalls», a metà tra l’opera concettuale e la performance. In quel momento il tema che le stava più a cuore era il profondo maschilismo esistente nel mondo dell’arte contemporanea, tema, peraltro che non ha mai abbandonato del tutto. Altri temi affrontati negli anni sono stati l’opposizione alla guerra in Iraq, all’epoca del presidente George W. Bush, e la prepotente intrusione della tecnologia nella vita privata di tutti, affrontata sia in «Where is the Nearest Camera?» (2007) sia in «No Drones» (2010-11).
Dalla fine degli anni ’70 ha scelto la fotografia come unico mezzo espressivo, e da allora non l’ha più abbandonata. Nella mostra della galleria Sprüth Magers di Los Angeles che inaugura il 10 novembre, e che sarà visitabile fino al 10 febbraio 2024, «Going Through the Motions», Lawler presenta soprattutto opere nuove e mai esposte prima d’ora. La mostra comprende le recenti serie «swiped» «adjusted-to-fit» e «traced». In «Swiped», Lawler usa una macchina fotografica impostata su un lungo tempo d’esposizione e con movimenti rapidi ricrea immagini astratte di opere celebri. In «adjusted-to-fit», manipola digitalmente alcune sue immagini originali in modo che occupino totalmente la superficie della parete della galleria e risultino in questo modo, completamente distorte. L’ultima serie è invece composta da nuove versioni in bianco e nero di alcuni suoi scatti prodotti assieme all’illustratore di libri per bambini Jon Buller.
Definita «contraddittoria, ambivalente e introspettiva», l’opera dell’autrice è una continua riflessione sul ruolo delle istituzioni, dei collezionisti e di tutto l’establishment del mercato dell’arte contemporanea, così come sul ruolo dell’autore e dello spettatore, della loro interazione e sul significato dell’opera d’arte e su quanto questa possa cambiare col tempo.
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