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Redazione GDA
Leggi i suoi articoliIl nome di Adolfo Wildt è ancora perlopiù sconosciuto al pubblico parigino. Le opere dello scultore milanese (1868-1931) sono state raramente esposte nei musei della Capitale e solo nel 2013 una di esse, «Vir temporis acti» (nella foto), è entrata a far parte di una collezione francese, quella del Musée d’Orsay. In collaborazione con questo museo, ma anche con la Galleria d’Arte moderna di Milano, è il Musée de l’Orangerie a ospitare la prima retrospettiva francese «Adolfo Wildt. L’ultimo simbolista», dal 15 aprile al 13 luglio. Un corpus importante di opere arriva dai Musei Civici di Forlì che hanno prestato tra l’altro «Maschera del dolore. Autoritratto», «Santa Lucia», «Acquasantiera. Fontanella santa». Dalla Galleria d’Arte moderna di Ca’ Pesaro di Venezia arrivano anche «Carattere fiero-Anima gentile» e «Madre adottiva». Secondo il critico Ugo Ojetti, Wildt era «l’interprete ideale di un’epoca stanca e ansiosa, credula e curiosa»: può constatarlo ora per la prima volta il pubblico parigino, che si trova di fronte uno scultore tormentato ed eccentrico, virtuoso nella lavorazione del marmo, attraverso un percorso cronologico in cinque sale e una sessantina di sculture, schizzi e medaglie, vecchie fotografie, documenti e una ventina di disegni. La mostra ricostruisce anche il contesto artistico dell’epoca e torna sulle fonti di ispirazione di Wildt attraverso calchi di opere antiche, dipinti di epoca rinascimentale (Crivelli e Cosmè Tura), opere contemporanee di Casorati o Rodin, e lavori degli allievi Lucio Fontana e Fausto Melotti.
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