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L’interno del Warburg Institute in una foto d’epoca. © The Warburg Institute

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L’interno del Warburg Institute in una foto d’epoca. © The Warburg Institute

La «componente didascalica» di Edgar Wind

Claudio Strinati, storico dell’arte e musicologo, sul libro «Arte e Anarchia» del vicedirettore del Warburg Institute

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Claudio Strinati

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Una sessantina d’anni fa Edgar Wind pubblicò, con il titolo Art and Anarchy, i testi di un ciclo di lezioni radiofoniche per la Bbc del programma «Reith Lectures» che, inaugurate nel 1948 con Bertrand Russell, durano tuttora.

Nato nel 1900 a Berlino, Wind subì le conseguenze della persecuzione nazista, approdando a Londra come vicedirettore del Warburg Institute. Da lì una carriera lenta ma felice lo portò fino alla cattedra di Storia dell’arte a Oxford. In Italia il libro Arte e Anarchia fu tradotto meravigliosamente da J. Rodolfo Wilcock per i saggi Adelphi e raramente il titolo di una collana risulta così appropriato all’autore che vi compare.
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Wind era un saggio. Equilibrato, colto, gentile, audacemente delicato nei suoi giudizi sovente spiazzanti, spiritosissimo. Si stava ponendo seriamente il quesito sul senso profondo e sui limiti della lettura iconologica così come elaborata e consegnata alla storia da Warburg e dai suoi discendenti: non fidarsi mai troppo dell’eccesso di ragionevolezza filologica, e neppure dell’opposto a onor del vero, per valutare al meglio il rapporto tra la componente teoretico/dottrinale dell’opera d’arte e il suo essere comunque tale, quasi a prescinderne. Ma quasi, per l’appunto, forse già intravedendo i possibili paradossi di qualsivoglia politically correct.

Wind la chiama «componente didascalica» e nota come nella produzione di opere d’arte sia stata preponderante per secoli e secoli e proprio per questo può adesso diventare fattore di disturbo. Scrive: «La poesia didascalica, ci dicono, è una specie di mostro… nel quale l’arte viene sacrificata sull’ara della ragione». E si chiede, a titolo esemplificativo, chi mai vorrebbe vedere oggi (era il 1963) un balletto composto da Cartesio per Cristina di Svezia in cui «faceva ballare le virtù intellettuali e quelle morali davanti alla sovrana».
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E scherza: «Io stesso vidi una volta un balletto didascalico, uno spettacolo americano ideato da Martha Graham sulla Dichiarazione di Indipendenza… era un eccellente balletto e, debbo dire in sua difesa, che i tremendi salti dei ballerini, i loro gesti eroici e le loro ritmiche contorsioni, confutavano inequivocabilmente ogni idea che tutti gli uomini siano nati uguali».

Claudio Strinati, 25 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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