Fabio Isman
Leggi i suoi articoliL’Eternale: così si doveva in origine chiamare l’edificio che Mussolini ribattezzò Mole Littoria. Tanto eterno che non è neppure nato. Viene pensato nel 1924 come l’edificio più alto al mondo: 330 metri, con un fronte di 250 e una superficie di 70mila metri quadrati, pari a dieci campi da calcio. Poco importa se per costruirlo si sarebbe dovuta distruggere buona parte della «seconda Roma», quella papalina, e irrimediabilmente adulterare lo skyline della città eterna. Almeno all’inizio Mussolini era entusiasta. Allo stesso modo non ha mai visto la luce, seppure il progetto sia progredito un po’ di più, anche il Colosso: non di Rodi, s’intende, ma quello del duce, di cui aveva le sembianze, «mascellone» compreso. Il «fascismo di pietra» (copyright dello storico Emilio Gentile) è stato spesso anche di bronzo. Due delle sagome per la fusione della statua, che avrebbe dovuto essere alta 90 metri e svettare dalla cima di Monte Mario, erano già state eseguite: la testa e un piede. Poi, però, tutto si è fermato, per sempre. Sono due storie non troppo remote e non troppo note. A cui vanno aggiunti alcuni progetti naufragati di immensi sventramenti urbani, ancor più perniciosi di quelli realizzati dal piccone di Mussolini: con una sconfinata grandeur erano stati ideati nel nome della monumentalità e del mito fascista della romanità. Per sorridere un po’ raccontiamo anche le singolarissime vicende di un bronzo alto due metri, che è sopravvissuto all’Eur, in cui un saluto romano è stato dissimulato e sapientemente nascosto.
Mario Palanti è un architetto di famiglia cremonese che ha avuto una lunga vita: nasce a Milano nel 1885 e vi muore nel 1978. Da giovane si trasferisce in America Latina, dove fa una grande fortuna. Vi lascia una serie di realizzazioni: a Buenos Aires addirittura il primo edificio-autodromo della storia, con una pista circolare di prova sul tetto, in pendenza; inaugurato nel 1928, si chiamava Chrysler; ora è un complesso residenziale, Palacio Alcorta.
Ma l’architetto mostra assai presto di puntare alle vette: sull’avenida de Mayo innalza Palacio Barolo e a Montevideo, la capitale dell’Uruguay, Palacio Salvo, entrambi alti un centinaio di metri; il primo, dal 1923 al ’35 è il più elevato del Sud America. Due edifici assai curiosi: l’imprenditore tessile Luigi Barolo, emigrato in Argentina nel 1890, era innamorato di Dante, e l’architetto pure. Così, come la Divina Commedia, lo stabile della capitale porteña è diviso in tre sezioni: Inferno, Purgatorio e Paradiso (la grande torre alla sommità).
Tra i primi edifici in cemento armato, è alto cento metri: esattamente quanti sono i canti danteschi. Né mancano altri richiami, più o meno reconditi, al capolavoro del Poeta. Secondo qualcuno inizialmente si pensava addirittura di traslare le spoglie di Dante sotto la cupola che è sulla cima (ma chissà mai in che modo).
Analogamente eclettico nello stile è Palazzo Salvo: mescola elementi gotici, neoclassici e Art Déco e ha anch’esso un vistoso pinnacolo, di 27 metri, sopra il corpo di fabbrica principale. Sorge in plaza Independencia sul luogo dove nel 1917 venne suonata per la prima volta «La cumparsita», un tango dei più famosi. Da terra raggiunge 95 metri e non è mai diventato l’albergo di lusso che era previsto diventasse, però è tuttora tra i simboli del Paese. Ospita anche un Museo del tango (e che altro se no)?
Nel 1924, quasi quarantenne, Palanti torna in Italia e offre a Mussolini l’immobile più elevato al mondo: l’Eternale, 88 piani in bianchissimo marmo di Carrara. Doveva occupare 70mila metri quadrati, 250 di larghezza. Nell’immenso emiciclo alla base, «4.500 stanze, 100 grandi saloni», con Parlamento, Governo, sale da conferenze, palestre, una stazione telefonica e telegrafica, e perfino un osservatorio astronomico.
La struttura, spiegava l’architetto, avrebbe ospitato anche un Augusteo mussoliniano, le terme e una chiesa: «Dovrà essere l’apoteosi architettonica» di Roma. I costi di gestione era previsto che venissero coperti dalle entrate di un ostello: «Il più grande e più organico del mondo». La location era quasi accanto a Montecitorio: tra le vie del Corso e di Ripetta, nel cuore della capitale. Avrebbe monopolizzato metà quartiere: un epico sventramento. Un rendering di Adam Nathaniel Furman mostra tutta l’imponenza dello sfregio immaginato.
Mussolini ne è estasiato e discute i dettagli del progetto. Palanti (pare) gli regala addirittura un cane, un piccolo Greyhound. I disegni sono esposti a Palazzo Chigi, ancora sede del capo del Governo. Per il duce l’architetto conosceva «gli ardimenti latini e romani della costruzione» e intendeva spostare sull’altro lato dell’Oceano «la celebrità degli edifici americani». All’edizione del progetto, nel 1926, offre la dedica autografa, e tanto di «alalà» finale.
Per spiegare il fallimento dell’operazione serve una parentesi. Nel costruire italico allora esistevano due correnti di pensiero: una tradizionalista e l’altra più moderna. La prima incarnata da Ugo Ojetti (e non solo), grande firma del «Corriere della Sera», intellettuale assai autorevole, non a caso soprannominato «sua Eccellenza Archi e Colonne» (scrive Antonio Cederna in Mussolini urbanista, 1979); la seconda da Marcello Piacentini, che sopravviverà alla rovina del duce.
E sarà proprio Piacentini, benché fosse il massimo teorico del monumentalismo del regime, ad affossare l’idea di Palanti. Decreta: «Mai un grattacielo a Roma». Tanto che Torino avrà nel 1933 una Torre Littoria (poi divenuta della Reale Mutua): 109 metri, su Piazza Castello. E Milano, quella quasi coeva di Gio Ponti (poi Torre Branca nel Parco Sempione): 108 metri di ferro, per la cui edificazione bastarono 66 giorni.
Ne sorgeranno varie altre in tante città, ma la capitale rimarrà preservata. L’Eternale diminuisce via via le proprie pretese: dapprima riduce l’altezza da 330 metri a 300, poi a 130 e infine ad appena 80. Cambia anche la collocazione, dal pieno centro della città al più discosto e periferico viale Aventino. Ma tutto è inutile, non se ne farà mai nulla.
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