Andrea Augenti
Leggi i suoi articoliQuesto è un anno importante per l’archeologia, l’anno in cui si celebra il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon. Una pietra miliare per la disciplina: l’occasione nella quale finalmente l’archeologia riuscì ad abbattere le barriere degli specialismi e ad affacciarsi alla ribalta dell’informazione per il grande pubblico, conquistando una postazione stabile nei giornali, nelle riviste e in altri media. Stiamo quindi già assistendo a una fioritura di mostre, iniziative, libri e molto altro per ricordare quell’evento cardine. Ma uno dei motivi di maggior fascino dell’archeologia è che le sue scoperte non hanno mai fine. Nuove indagini e nuove acquisizioni si susseguono le une alle altre, in un flusso continuo, e contribuiscono a rendere vivo e sempre diverso il nostro rapporto con il passato. Ecco allora una selezione di alcune tra le scoperte più rilevanti di questo 2022 che volge ormai al termine.
Innanzitutto, ci sono novità da scavi già aperti nel passato; primo tra tutti quello del sito di Mont’e Prama, in Sardegna. Si tratta di un grande santuario di età protostorica (X secolo a.C.), e il colpo d’occhio doveva essere incredibile: un cimitero disposto sulla sommità di una bassa collina, accanto al quale si stagliava un gran numero di statue in pietra, alte non meno di due metri ciascuna. Raffiguravano uomini in armi: arcieri, guerrieri e i cosiddetti pugilatori. Soldati? Antenati? Oppure, come ha proposto qualcuno, si tratterebbe di iniziandi, cioè giovani che stanno entrando nell’età adulta?
Nel frattempo gli scavi della Soprintendenza continuano, sotto la direzione di Alessandro Usai, e quest’anno sono state trovate altre due sculture, due pugilatori. Ma la storia del santuario di Mont’e Prama aspetta ancora di essere compresa fino in fondo, e non resta che augurarsi che questo sito straordinario diventi oggetto di un progetto complessivo di scavo e valorizzazione.
E passiamo in Sicilia, dove le ricerche dell’Università di Milano, della New York University e dell’Istituto Germanico a Roma, coordinate da Clemente Marconi, hanno permesso di ridisegnare la pianta di una delle città più importanti: Selinunte, nella provincia di Trapani, fondata dai coloni greci nel VII secolo a.C., della cui agorà (la piazza pubblica) conosciamo finalmente la posizione e l’estensione davvero fuori dal comune, ben 33mila metri quadrati. Interessanti anche i nuovi dati sui due templi dell’acropoli, prima considerati coevi e che le indagini hanno invece dimostrato avere datazioni differenti.
Novità sostanziali anche in Puglia, dalla città abbandonata di Siponto, dove l’équipe delle Università di Bari e Foggia capitanata da Giuliano Volpe sta portando alla luce le fasi antiche e medievali dell’abitato. Grazie all’apporto delle indagini geofisiche, quest’anno gli archeologi sono riusciti a individuare e a scavare per la prima volta le strutture dell’anfiteatro romano di età augustea, poi abbandonato nel VI secolo d.C.; ma anche i resti di una casa-torre del tempo dell’imperatore Federico II.
E questo stesso approccio fortemente diacronico si ritrova anche nelle indagini dell’Università di Bologna, che io stesso dirigo presso il sito di Cervia Vecchia, in Romagna: la città viene fondata nell’Alto Medioevo per lo sfruttamento del sale e poi abbandonata verso la fine del XVII secolo, ma i suoi abitanti la ricostruiranno pochi chilometri più in là. Qui la novità consiste soprattutto nella scoperta della Rocca, la fortezza urbana costruita nel XII secolo e poi riutilizzata come magazzino per il sale. Il progetto che riguarda questo sito è però ampio e ambizioso: combina ricognizione, indagini geofisiche e scavo per ricostruire la fisionomia e le vicende di uno dei rarissimi centri urbani nati nella penisola dopo l’Antichità e prima dell’anno Mille. E il Comune di Cervia, assieme alla Regione Emilia-Romagna, si è già attivato per la realizzazione di un parco archeologico inserito nel più esteso Parco del Delta del Po.
Ma la scoperta che nel 2022 ha catalizzato l’attenzione più di ogni altra è senz’altro quella di San Casciano dei Bagni, località finora tutt’altro che centrale della provincia di Siena e che adesso è letteralmente sulla bocca di tutti. Qui gli archeologi dell’Università per Stranieri di Siena, sotto il coordinamento di Jacopo Tabolli, hanno portato alla luce un complesso straordinario: un santuario situato nel territorio della città etrusca di Chiusi e legato alla presenza di acque termali (c’è una grande vasca), poi usato ancora in età romana e uscito definitivamente d’uso nel V secolo d.C..
Proprio la presenza dell’acqua tuttavia, e il fatto che il santuario fu sigillato e mai più toccato, ha permesso una conservazione quasi perfetta di quello che in gergo si chiama «il deposito archeologico», ovvero tutte le tracce materiali della vita di questo sito. Il risultato è stata una scoperta unica, davvero sensazionale, rispetto alla quale, purtroppo, si è insistito a sottolineare soltanto un aspetto: quello apparentemente più eclatante, ovvero la scoperta di ben 24 statue in bronzo, ex voto alti circa un metro.
E qui stiamo però nel mainstream di una vecchia accezione, molto italica, di un’archeologia intesa come storia dell’arte, in cui le scoperte più importanti sono quelle che riguardano il ritrovamento di statue, mosaici o pitture. Ma a ben vedere, questo approccio, a cavallo tra l’arretrato e il sensazionalistico, anzi, sensazionalistico proprio perché arretrato, alla fine non fa che danneggiare la scoperta di San Casciano. Che non è importante perché (o perlomeno, solo perché) ha portato alla luce delle statue; ma lo è innanzitutto perché è stata gestita con metodo e con rigore. E proprio quel rigore ha permesso di recuperare un intero mondo sepolto, una storia plurimillenaria che ha solo iniziato a mostrarci i contrasti tra il mondo etrusco e il mondo romano, il percorso lento e difficile della cosiddetta romanizzazione.
A San Casciano sono state trovate iscrizioni che dimostrano la persistenza della lingua, della cultura e di élite etrusche fino in epoca piuttosto avanzata; e poi oggetti legati alla religione etrusca e molti reperti botanici, che dimostrano la varietà delle offerte che si facevano in santuari come quello. Un santuario tra molti, probabilmente; ma al tempo stesso un campione di un’importanza storica senza pari, una di quelle microstorie che solo l’archeologia è in grado di offrirci, e che ci mostrano il nostro passato come non lo avevamo mai visto prima, attraverso gli oggetti.
Andrea Augenti è archeologo, è autore tra l’altro di Scavare nel passato. La grande avventura dell’archeologia (Carocci, 2020) e A come archeologia: 10 grandi scoperte per ricostruire la storia (Carocci, 2019)
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