A Milano, nello spazio di Viasaterna, è aperta fino al 29 novembre «Perseo», la personale di Alessandro Calabrese (Trento, 1983), che trasforma un errore tecnico in una poetica visiva, creando immagini fluttuanti e instabili che sfidano la percezione.
La storia è piena di scoperte nate per caso o per errore. Per Alessandro Calabrese, non si tratta certamente della scoperta più importante, ma un incidente tecnico (la carta inserita al contrario durante una stampa) è diventato lo spunto per una poetica del tutto inaspettata, oggi raccontata nella sua mostra. «È stato un errore, racconta l’artista, che inizialmente ho messo da parte, come un ricordo sepolto in un angolo del cervello, per poi riprenderlo anni dopo».
«Perseo» esplora sei generi pittorici, reinterpretati nel linguaggio visivo dell’artista. «Genre Painting #10», la prima stampa inkjet che incontriamo nell’allestimento, ritrae un gruppo di persone abbracciate, i cui contorni si dissolvono in un vortice di colori intensi. I rossi ricordano quelli dei corpi sotto uno scanner termico, enfatizzando la dimensione fisica e intima dell’abbraccio, come se il calore umano fosse visibile. «Still Life #05» rappresenta invece un’interessante esplorazione di un tema classico come la natura morta, in cui i colori intensi (giallo, verde, rosa e blu) sembrano pulsare e fondersi, trasformando la visione classica di un bouquet di fiori in una sorta di sogno o allucinazione cromatica.
Al piano inferiore, il percorso prosegue e si conclude con «Portrait Painting», un video in loop che offre una riflessione sulla società contemporanea. Calabrese raccoglie immagini e frammenti della quotidianità in un collage visivo che diventa una sorta di ritratto collettivo: come in un mosaico, volti, gesti e situazioni comuni si fondono, creando un’immagine frammentata e multiforme.
«Perseo» si pone come un progetto di «soglia»; in un momento in cui l’intelligenza artificiale sta ridefinendo i confini della rappresentazione visiva, Calabrese sottolinea l’importanza di questo passaggio: «Questo lavoro rappresenta per me l’ultimo di una vecchia generazione, forse anche il primo di un mondo nuovo, almeno a livello teorico. È il mio primo passo in questa direzione, come lo è per altri che stanno esplorando nuovi orizzonti in questo campo».
Verso la fine della nostra conversazione, Calabrese ci racconta di aver ripreso in mano la pellicola e la macchina fotografica, esplorando un approccio più diretto. Chissà dove lo condurrà ora questa nuova ricerca, dopotutto, a volte sono proprio gli imprevisti a rivelare le strade più interessanti.