Carla Prina, «Senza titolo», 1972 alla galleria Tommaso Calabro

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Carla Prina, «Senza titolo», 1972 alla galleria Tommaso Calabro

L’inconfondibile alfabeto di forme e colori di Carla Prina

Il percorso nella sede milanese di Tommaso Calabro documenta l’originale universo creativo dell’artista comasca che, nonostante fosse libera di sperimentare, non abbandonò l’astrattismo

Formidabili davvero quegli anni, dai Trenta a tutti i Quaranta e anche oltre, quando a Como il manipolo di intellettuali e creativi formato dai pittori Manlio Rho, Mario Radice, Carla Badiali, Carla Prina, Cordelia Cattaneo, Aldo Galli, e dagli architetti Cesare Cattaneo, Giuseppe Terragni, Piero Lingeri e dal torinese, seppure ormai svizzero, Alberto Sartoris che a Como soggiornava spesso (sposerà Carla Prina), fece della città la capitale dell’astrattismo italiano e della più limpida architettura razionalista. Centro d’aggregazione di tutti loro era lo studio di Manlio Rho, un’aggiornatissima miniera di libri internazionali, riviste italiane e straniere, fotografie, cui tutti loro potevano attingere, mentre il centro d’irradiazione delle loro ricerche era Milano, dove la Galleria del Milione dei fratelli Ghiringhelli (che nel 1934 presentò la prima personale italiana di Kandinskij) promuoveva le loro invenzioni rigorose. 

A Carla Prina (Como, 1911-Cossonnay, Svizzera, 2008) la galleria Tommaso Calabro dedica dal 29 gennaio al 22 marzo, nella sede milanese di Corso Italia 47, la prima personale in Italia degli ultimi vent’anni, ricca di oltre 20 opere da lei realizzate tra gli anni Trenta e gli Ottanta (e di numerosi materiali d’archivio) che documentano la libertà con cui nel tempo, pur senza mai tradire il linguaggio astratto, lei seppe creare un proprio personale alfabeto di forme e colori, immediatamente identificabile.

Le radici di tutti loro affondavano nel futurismo, tanto che nel 1942 lei e l’intero Gruppo di Como esposero nel Padiglione Futurista della XXIII Biennale di Venezia e nel 1943 furono presenti nella Sala Futurista della IV Quadriennale di Roma. Ma Carla Prina, che si era formata a Milano, a Rodi e a Roma, dagli anni Quaranta allargò il suo sguardo, entrando in contatto con il secondo gruppo cubista, di cui facevano parte Hans Arp e Sophie Taeuber-Arp, oltre a Sonia Delaunay, mentre dal 1950-1951, dopo essere stata con il marito Alberto Sartoris tra i fondatori della Escuela de Altamira, a Santillana del Mar, in Cantabria, poté conoscere e frequentare Joan Miró. A tutto si aggiungeva l’influenza esercitata su di lei dall’astrazione di Kandinskij, e fu proprio da questa miscela di stimoli internazionali che la sua pittura prese il volo, dando vita a composizioni astratte sì, ma libere e liriche, accese da colori radiosi e abitate da forme che paiono galleggiare nel vuoto. Eppure, benché di tutto il gruppo degli artisti comaschi lei sia stata la più internazionale, il suo nome e il suo lavoro si sono un po’ appannati nel tempo: lodevole l’operazione che Tommaso Calabro ha condotto con lei, nel suo «lavoro di scavo» fra gli artisti di alta qualità, ma oggi trascurati, del secolo passato.

Carla Prina, «Senza titolo», 1970 alla galleria Tommaso Calabro

Ada Masoero, 27 gennaio 2025 | © Riproduzione riservata

L’inconfondibile alfabeto di forme e colori di Carla Prina | Ada Masoero

L’inconfondibile alfabeto di forme e colori di Carla Prina | Ada Masoero