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Roma, Catacombe di Pretestato, Sarcofago detto dell’imperatore Balbino (Archivio Fotografico Pcas)

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Roma, Catacombe di Pretestato, Sarcofago detto dell’imperatore Balbino (Archivio Fotografico Pcas)

Sposarsi al tempo dei Romani: una ritualità millenaria

Le recenti nozze veneziane del fondatore di Amazon offrono lo spunto per ripercorrere la storia del cerimoniale nell’epoca imperiale, alcune caratteristiche del quale, dall’anello di fidanzamento al coinvolgimento di parenti e amici alla festa, sono arrivate fino a oggi

Raffaella Giuliani

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Nelle cronache si stanno finalmente spegnendo le polemiche sulle nozze da sogno in quel di Venezia di Jeff Bezos e Lauren Sánchez, che hanno scalzato nell’opinione pubblica il ricordo di altre nozze ben più blasonate che le hanno precedute in questi ultimi anni. Si tratta di eventi da favola, enormemente amplificati dalla potenza dei media, specie dei social media, e tuttavia anche in eventi di così evidente attualità, è sorprendente ritrovare in alcune espressioni del rituale matrimoniale dei giorni nostri una chiara continuità con il cerimoniale romano

Nelle epoche più antiche a Roma esistevano tre forme diverse di matrimonio: la «confarreatio», con l’offerta da parte degli sposi di una torta di farro a Giove Capitolino, alla presenza del pontefice massimo e del sacerdote del dio, il flamen Dialis; la «coemptio», con cui il padre plebeo della sposa esercitava una vendita fittizia al marito della figlia trasferendogliene la potestà, e l’«usus», che determinava lo stato coniugale dopo la coabitazione continua per un anno di un plebeo con una patrizia. Queste forme arcaiche di matrimonio, al tempo dell’impero, erano ormai un ricordo della gloriosa età repubblicana. La donna aveva contribuito notevolmente allo svecchiamento del rituale matrimoniale, nel quale si innestarono delle tradizioni ancora in uso tra noi. Ne è un esempio l’anello di fidanzamento, donato alla donna: si portava al dito vicino al mignolo, perciò detto anulare. Tertulliano rimpiange i tempi andati «quando la modestia e la sobrietà tutelavano le donne, quando nessuna conosceva l’oro tranne che in un solo dito, quello che il fidanzato con il pronubo anello avesse impegnato» (Apol. 6). Secondo Aulo Gellio esisteva un nervo che collegava l’anulare al cuore, e per questo sarebbe stato affidato a questo dito l’anello di fidanzamento, per il suo stretto legame con la sede degli affetti (Noct. Att., X, 10). Un altro aspetto che lega il rituale nuziale romano con quello dei nostri giorni è il coinvolgimento, sin dalla fase del fidanzamento e poi, ovviamente, nell’evento matrimoniale vero e proprio, di parenti e amici in gran numero, alcuni scelti come testimoni, i quali poi prendevano parte tutti insieme a festosi e opulenti banchetti. Anche il sollevamento della sposa in modo che i suoi piedi non toccassero la soglia della nuova casa era previsto dal costume romano e all’atto provvedevano gli amici dello sposo. 

Nella scultura romana, in particolare nei sarcofagi, viene spesso rappresentato il matrimonio, evento chiave nella biografia del defunto. Dal punto di vista iconografico, il rito è sintetizzato nella cosiddetta scena di «dextrarum iunctio»: un bellissimo esempio dal complesso romano delle Catacombe di Pretestato, presso la via Appia antica, ci propone le nozze dell’imperatore Balbino, che regnò per soli 99 giorni, dal 22 aprile al 29 luglio del 238. Il manufatto ha una storia particolare: la testa di Balbino, nella scena centrale di sacrificio, venne immessa, dopo la scoperta del sarcofago, nel mercato antiquario e finì al Cleveland Museum of Art. Il museo, dopo il riconoscimento dell’origine del manufatto, consegnò alla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, competente per le catacombe, un calco della testa, che oggi figura inserito nel sarcofago. La «dextrarum iunctio», lacunosa, si trova all’estremità destra, e mostra la donna avvolta nella palla, il «flammeum», velo color arancio che copre pudicamente la testa della sposa. 

Con l’avvento del Cristianesimo, il rituale delle nozze non subì grandi stravolgimenti, perché, come è noto, la Chiesa modificava solo ciò che era in totale contrasto con i suoi valori. Secondo la tradizione latina, sono gli sposi, come ministri della grazia di Cristo, a conferirsi mutuamente il sacramento del matrimonio esprimendo davanti alla Chiesa il loro consenso. Il sacerdote (o il vescovo) è testimone del reciproco consenso scambiato tra gli sposi, e la sua benedizione è necessaria per la validità del sacramento. Un affresco del Cubicolo della Velata, nelle Catacombe di Priscilla sulla via Salaria a Roma, è una sintesi perfetta della continuità del rito matrimoniale tra il mondo pagano e quello cristiano. Nella scena di sinistra, infatti, si riconosce proprio la celebrazione del sacramento del matrimonio: il personaggio anziano, seduto sul trono, è il celebrante, che sorregge il testo ufficiale del vincolo con l’elenco dei doveri degli sposi («tabulae nuptiales»), la donna al centro, con la tunica ocra, è la sposa, che mostra un rotolo svolto, in cui è scritto il contratto matrimoniale, e l’uomo giovane in tunica scura, è lo sposo, che porta il velo che coprirà il capo della donna. Dunque, i contratti matrimoniali, oggi tanto di moda, specie tra i vip, quale misura cautelativa per regolare preventivamente le vicende coniugali in caso di divorzi e separazioni, erano evidentemente una saggia provvidenza già ai tempi degli antichi Romani.

Roma, Catacombe di Priscilla. Cubicolo della Velata, scene di vita della defunta: a sinistra, il matrimonio, a destra, la maternità e, al centro, il passaggio alla vita ultraterrena (Archivio Fotografico Pcas)

Raffaella Giuliani, 01 agosto 2025 | © Riproduzione riservata

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