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Camilla Bertoni
Leggi i suoi articoliA partire dal titolo, «Quem genuit adoravit», si preannuncia densa di riferimenti la mostra che presenta il nuovo corpus di dipinti su tela e opere su carta di Manuele Cerutti dal 10 marzo al 28 luglio nella Pattern Room della Collezione Maramotti. «Il titolo nasce da un incontro, come spiega l’artista stesso, così come succede per molte delle cose che diventano soggetti della mia pittura».
Le «cose» a cui fa riferimento l’artista torinese, classe 1976, sono quelle inanimate che popolano molte delle sue produzioni pittoriche e grafiche recuperate nel contesto abituale, «oggetti che si rivelano nella nuova relazione che si crea fuori dalla loro funzione originaria». Così è accaduto anche nell’incontro che ha dato origine al titolo di questo nuovo progetto: «Alla Basilica della Ghiara a Reggio Emilia, racconta Cerutti, ho potuto ammirare il dipinto con la Madonna che non conoscevo e a cui vengono attribuite miracolose guarigioni. Il motto “quem genuit adoravit”, che sta scritto sulla cornice e che significa «adorò colui che generò», compare anche in altre opere. Ciò che mi incuriosiva era l’ambiguità insita nella frase: chi è l’adorante e chi l’adorato? Quando nasce un bambino contemporaneamente nasce anche un genitore, la nascita è sempre doppia».
Vicende biografiche personali, con la sopraggiunta paternità, e gli intrecci con un ricco substrato di riferimenti culturali, portano Cerutti a trovarsi dentro un progetto narrativo per immagini che ha preso inizio, in modo quasi spontaneo, nel 2018, durante un soggiorno in Belgio accanto alla moglie artista e al figlio neonato. La nascita eccezionale raccontata nel dipinto della «Madonna della Ghiara», così come le tante narrazioni mitologiche sul tema della nascita, dove l’eccezionalità a volte assume i caratteri della mostruosità, alimentano il vissuto personale di Cerutti che concepisce un racconto dove il protagonista interagisce con un’entità che ha le fattezze di suo figlio e si trova a dover reagire a una ferita che lo tormenta a una gamba e di cui cerca di prendersi cura. Una ferita di cui non si capisce l’origine, ma da cui germina quasi miracolosamente la vita, come nel processo che nel mondo vegetale viene chiamato margotta.
«Sono arrivato a questa narrazione non lineare, spiega l’artista, in seguito a frequentazioni che vanno dalla mitologia alla letteratura che costituiscono il sottofondo di tutto il mio lavoro. Mi nutro di questo materiale che accompagna tutti noi e ci aiuta a capire gli accadimenti della nostra esistenza. Il mio protagonista non sta cercando a tutti i costi una nascita, la sua ferita è simbolo della difettività umana, del nostro essere fallaci, asimmetrici, ma grazie a questa ferita, che è un elemento di difformità (il pensiero torna a Filottete e al suo piede ferito, per questo marginalizzato), creiamo movimento, erranza, ci diamo la possibilità di uscire dal sistema binario e accogliamo la trasversalità».
Prendersi cura della ferita innesca un meccanismo alchemico, una sorta di germinazione o riproduzione asessuata grazie alla quale una pianta può generare duplicandosi. «Fare il padre a tempo pieno, prosegue Cerutti, è diventato motivo di studio, ho iniziato a disegnare e fare riflessioni e ho preso consapevolezza che il progetto aveva preso forma già da tempo. Il soggetto di questo racconto vive in solitudine e arriva a questa genesi quasi a sua insaputa, mettendo in atto i suoi saperi in campo botanico. Il mio personale vissuto sta sullo sfondo, non è che l’inizio di una narrazione allegorica che racconta l’emergere di un legame inesprimibile». In occasione della mostra sarà realizzato un libro con contributi del sociologo Gian Antonio Gilli, del poeta e scrittore Valerio Magrelli e di Elena Volpato, curatrice e conservatrice presso la Gam-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino.

«Emergenza (movimento primo)» (2022), di Manuele Cerutti (particolare). © Manuele Cerutti. Cortesia dell’artista e di Guido Costa Projects. Foto Cristina Leoncini
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