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Nicoletta Biglietti
Leggi i suoi articoliIn un'epoca in cui l’arte astratta dominava incontrastata, Marcia Marcus è stata una dea di se stessa. Un’artista, cioè, in grado di sfidare e reinterpretare – in modo dinamico e vivo – la propria identità, eludendo le facili definizioni per rimanere, invece, una meravigliosa e sfuggente metamorfosi.
Nata nel cuore pulsante di New York nel 1928 e laureata in arte alla New York University nel 1947, Marcus proseguì la sua formazione alla Cooper Union e all’Art Students League negli effervescenti anni ’50, quando l’arte newyorkese ribolliva di ferventi sperimentazioni. Fin da bambina, si era distinta per uno stile unico, fatto di figure dai contorni decisi e dipinte con una delicatezza quasi eterea – cifra poetica che le valse, nel 1961, l’attenzione del critico Brian O’Doherty sul New York Times, che definì la sua pittura «orientata a ridurre la solidità delle cose naturali a un’eco della loro presenza».
Grazie anche all’amicizia con Allan Kaprow – padre dell’Happening – Marcus entrò presto nella scena underground, esordendo, nel 1960, con una serie di autoritratti al Delancey Street Museum, uno spazio alternativo e sperimentale tra i più vitali dell’epoca. Fu l’inizio, questo, di un percorso artistico che l’avrebbe condotta, poco dopo, a un profondo e letterale “ritorno su se stessa”.
In una serie di dipinti successivi potenti e provocatori, infatti, l’artista si ritrasse in un caleidoscopio di identità femminili che – da Medusa ad Atena, da turista borghese a matrona elegante – suggerivano come l’essere donna significasse anche scegliere come e dove mostrarsi – aspetto sottolineato anche dal critico John Yau, nell’evidenziare il diretto legame di Marcia Marcus come anticipatrice di Cindy Sherman.

Marcia Marcus, «Self-portrait», 1979
Perché in un tempo in cui le artiste donne venivano relegate ai margini, Marcus ha fatto della sua arte una vera e propria battaglia. Con un approccio che sfidava le norme del tempo, nei suoi ritratti l'artista non ha dipinto solo se stessa ma la profondità che il concetto di identità stesso implicava – e implica. Per lei infatti la pittura non era solo un mezzo di espressione ma una lente potente attraverso la quale sfidare e reinterpretare la propria identità, rivelando le molteplici sfaccettature di una figura in continua trasformazione.
Una trasformazione profonda come quella che si rivelò essere per l’artista la maternità: contrariamente a quanto suggerito dalla “norma del tempo”, che vedeva la gravidanza e la nascita dei figli come una fine artistica, per Marcus la maternità divenne invece una nuova fonte di ispirazione. «Ho nascosto una macchina fotografica, un blocco da disegno e del carboncino. Farò qualche schizzo», scrisse in ospedale il giorno della nascita della sua prima figlia. Un atto che rifletteva la sua costante necessità di esprimersi e ri-definirsi.
Ed è proprio questo desiderio di rappresentare un’evoluzione, una metamorfosi, che emerge anche nelle sue opere. Delle opere in cui il corpo e l'immagine si mescolano, si piegano e si trasformano, in una narrazione visiva che è, anche, commento puntuale e deciso sulle aspettative sociali.

Marcia Marcus, «Tyna, Alvin, Baby», 1970-71
È infatti la forza di volontà nel perseguire la propria arte, indipendentemente dagli eventi della vita, che rende la ricerca di Marcus ancor più straordinaria, e il dipinto «Ritratto di famiglia» del 1970 ne è un esempio calzante: qui l'artista, pur essendo sullo sfondo e quasi non avendo un suo spazio, guida l’intera composizione. Con le figlie e il marito in primo piano, la sua figura quasi sfuma, come fosse un'ombra silenziosa che unisce e coordina tutta la scena – facendo eco, tra l'altro, ai grandi maestri della pittura, come Velázquez in «Las Meninas».
Perché Marcus sapeva cosa voleva dire essere una donna-pittrice e sapeva cosa voleva dire fare un'arte in grado di andare oltre i limiti della non-figurazione. Un arte che però, al tempo, non aveva un suo spazio.
E infatti, nonostante la profondità del suo lavoro e la delicatezza della sua poetica Marcus rimase marginalizzata per anni dalla scena artistica, in un inaspettato silenzio che le gravò sulla carriera dopo i successi iniziali – tra cui, tre mostre al Whitney Museum prima dei 40 anni. Ma nonostante questo, la sua passione per la pittura non si esaurì, e continuò a dipingere fino agli anni ’90, esplorando se stessa, la figura umana e l’identità.
Oggi, però, anche grazie alla mostra «The Human Situation: Marcia Marcus, Alice Neel, Sylvia Sleigh», la luce su Marcia Marcus brilla forte e intensa. Le sue opere, che per troppo tempo sono state trascurate, ora emergono come testimoni di un'epoca e di una visione artistica che merita di essere riscoperta. Perché Marcia Marcus non ha mai smesso di essere una dea di se stessa, pronta – oggi più che mai – a essere ammirata nella sua profonda e sfuggente metamorfosi.