Un’affascinante cascata immacolata, alta più di 5 metri, accoglie i visitatori del Museu Tàpies di Barcellona, stravolgendo completamente la vista della sala principale, poco più in basso dell’entrata. La gigantesca installazione tessile che emula una cascata di sperma è una delle opere di Marta Palau (Albesa, Lleida, 1934-Città del Messico, 2022), artista catalana esiliata in Messico dopo la Guerra civile, che hanno trasformato il museo. Molto nota in America Latina, ma praticamente sconosciuta in Europa, Palau fu scoperta da Imma Prieto, direttrice del Museu Tàpies, che seguì le sue tracce da Albesa, nella Catalogna profonda, a Tijuana, dove si stabilì al suo arrivo in Messico nel 1941 e poi, fino a Città del Messico, dove con Amanda de la Garza, in quel momento alla guida del Museo Universitario de Arte Contemporáneo (Muac), il principale centro della capitale dedicato all’arte attuale, decise di organizzare una grande mostra nei due continenti. «Da tempo non mi capitava di trovare un’artista con questa forza, capace di suscitare tanto fascino e interesse. Non potevo credere che non fosse conosciuta in Europa, anche se la sua indifferenza per il mercato e il sistema dell’arte giustifica in parte questa sua condizione. L’artista è purtroppo morta il 12 agosto 2022, senza sapere che poco dopo l’avrei cercata per dedicarle una grande mostra nel suo Paese natale», racconta Prieto, che avrebbe dovuto firmare la curatela con de la Garza, ma la nomina di quest’ultima a vicedirettrice del Museo Reina Sofía di Madrid, carica che ricopre attualmente, l’ha costretta ad abbandonare il progetto.
«Marta Palau. Mis caminos son terrestres», in corso al Museu Tàpies fino al 17 agosto e poi al Muac di Città del Messico dall’8 novembre al 26 aprile 2026, presenta il ricco universo concettuale e iconografico di un’artista che si muoveva tra la terra e il cielo, interessata al corpo come all’anima e legata tanto alla spiritualità eterodossa come alla materia e al territorio. «L’arte è intuizione, un rituale magico in cui il risultato finale è ciò che conta. L’artista è solo il mezzo, l’intermediario», scriveva Palau mentre intrecciava fibre naturali, mischiava colori e piegava esili fili di ferro, aggiornando le tecniche ancestrali dei popoli nativi per creare opere multidisciplinari che sollevano questioni legate al territorio, all’esilio o alla migrazione, temi di origine autobiografica che mantengono tutta la loro forza e plasmano una memoria personale che diventa collettiva. L’importanza che l’artista attribuiva alle sue radici risulta evidente nel perfetto catalano che parla sua figlia, nonostante sia nata e abbia vissuto in Messico tutta la vita, e nelle opere tessili che raccolgono gli insegnamenti di Josep Grau-Garriga (1929-2011), il grande rinnovatore dell’arte del tessuto. La rassegna comprende disegni, dipinti e alcune delle sue grandi installazioni tessili, in dialogo con oggetti e materiali provenienti dal suo archivio personale e mai esposti prima, come il tavolino con i grandi tarocchi dipinti da entrambi i lati. Molte delle opere si prestano a diverse interpretazioni e le forme alludono a iconografie diverse. Le forme antropomorfiche di «Todas las guerras» ricordano profili di guerrieri, ma anche membri maschili, e può essere un sesso femminile portatore di vita, ma anche una ferita, «Ilerda V» (1973), una scultura tessuta a telaio, battezzata con il nome romano di Lleida, capoluogo della sua provincia natale.

Marta Palau «Kachinas». Foto: arte.edad.silicio
Il percorso presenta i temi centrali del lavoro di Palau, ossia migrazione, memoria e terra, e anche i suoi feticci: le «Naualli», che in lingua nahuatl significa la «donna che protegge», le «Kachinas», bambole che formano parte della cosmogonia dei popoli originari, altre figure umane con i piedi fatti di radici e le teste di corazza di armadillo, le installazioni di piedi in ceramica che indicano tracce di movimenti umani e simboleggiano i nomadi della terra. Un’altra opera centrale per capire la sua visione del mondo che oscilla tra eros e thanatos, entrambi da una prospettiva organica e ciclica, che fa appello direttamente al corso della storia, è una colonna a forma di spirale, realizzata con rami e spine. Marta Palau la teneva appesa all’attaccapanni dello studio, mentre al Museu Tàpies pende dal soffitto, come un simbolo della sua visione della storia, erede di nozioni teosofiche vicine alle teorie di Madame Blavatsky, che influenzò anche artisti come Piet Mondrian, Vasilij Kandinskji o Hilma af Klint. La scrittrice catalana Marta Rodoreta, che conosceva Marta Palau personalmente, nel racconto La salamandra la presenta come una maga, anche se nel suo caso si trattava di una spiritualità estremamente «terrestre» come indica il titolo della mostra «I miei cammini sono terrestri», tratto da una sua opera e dalla sua prima grande rassegna in Messico, nel 1985.
Delle sue numerose opere si occupano ora i due figli, frutto del matrimonio con Albert Gassol, il figlio più giovane di Ventura Gassol, scrittore e consigliere del primo governo repubblicano della Catalogna e figura di rilievo nella diffusione della cultura catalana nell’esilio. «Il lavoro di Marta Palau s’inserisce in una delle linee di lavoro primordiali in relazione al recupero storico e al dialogo di Tàpies con i suoi contemporanei meno noti», conclude Imma Prieto.

Marta Palau, «Cartes del Tarot», 1980