Camilla Bertoni
Leggi i suoi articoli«Perché esporre l’opera di Munari oggi? Perché l’opera di Munari non ha tempo». Lo storico dell’arte Alberto Salvadori riassume semplicemente così la necessità, a 25 anni dalla morte, di studiare e presentare l’opera di Bruno Munari (Milano, 1907-98), «una delle figure più amate nell’arte degli ultimi sessant’anni», sfuggente a ogni classificazione, pur con le radici che affondano nelle sperimentazioni futuriste, dadaiste e surrealiste.
Insieme a Luca Zaffarano, Salvadori è il curatore di «Bruno Munari. La leggerezza dell’arte» (catalogo Edizioni E.Art.H.), visitabile fino al 31 marzo 2024 in quella che fu la Stazione frigorifera specializzata nella Zai di Verona che a piano terra ospita i magazzini alimentari di Eataly mentre al primo piano, con accesso libero, si trovano gli spazi espositivi della Eataly Art House (E.Art.H.). «La leggerezza, spiega Salvadori, di una mente capace di espandersi in tutte le direzioni, di chi ha percorso il gioco come strumento di conoscenza, di chi ha creato un linguaggio per la pubblicità indelebile che tutti abbiamo incontrato».
Artista dall’approccio leonardesco, come lo ha definito la presidente dell’Associazione Bruno Munari Silvana Sperati, in questa mostra Munari viene raccontato per tematiche e cicli, scegliendo alcuni tra gli ambiti di una sperimentazione continua e incessantemente percorsa: lo studio del dinamismo di una forma, l’equilibro tra regola e caso, la percezione ambigua di forme e colori, l’ideazione di una forma scultorea economica e trasportabile, le «Sculture da viaggio» (nella foto, un esemplare del 1958) la produzione ibrida, tra arte e design, di oggetti a funzione estetica, il lavoro nell’editoria e nella grafica.
La mostra ha il duplice obiettivo di essere costruita su solide basi scientifiche e di essere coinvolgente, tra una «Forchetta parlante» e un «Libro illeggibile», come lo è la sala dedicata alla pittura con la luce, con le proiezioni dirette del 1951, dove i vetrini originali sono stati digitalizzati per essere qui riproposti, con le proiezioni generate dalle macchine inutili degli anni Trenta che portano l’astrazione nello spazio o dalle ombre di «Concavo convesso» del 1947, nell’alveo delle sperimentazioni sul cinema astratto. E nella scia della filosofia di Munari, che lo aveva portato a proporre i laboratori per bambini nel 1977, la mostra invita il pubblico alla creatività.
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