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Particolare dell’Apollo del Belvedere dopo il restauro

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Particolare dell’Apollo del Belvedere dopo il restauro

Musei Vaticani: l’Apollo del Belvedere è tornato con tanto di mano (sinistra)

Cinque anni di restauro per la celebre scultura afflitta da problemi statici e fratture, rimessa in piedi grazie a un sostegno in fibra di carbonio   

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Arianna Antoniutti

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L’Apollo del Belvedere, la scultura che, nelle parole di Winckelmann, superava tutte le altre rappresentazioni del dio «di quanto l’Apollo di Omero si eleva al di sopra di quello descrittoci dai poeti venuti dopo di lui», è tornata finalmente visibile. Per cinque anni un cantiere di restauro, approntato nello stesso Gabinetto del Cortile Ottagono dei Musei Vaticani in cui la statua è ospitata, ha provveduto a sanare i gravi problemi statici del capolavoro, copia romana di un bronzo eseguito tra il 330 e il 320 a.C. da Leochares. Il restauro, coordinato dal Reparto antichità greche e romane dei Musei Vaticani, è stato eseguito dal Laboratorio di restauro materiali lapidei in collaborazione con il Gabinetto di ricerche scientifiche, grazie al sostegno dei Patrons of the Art in the Vatican Museums.

Un intero anno di studio e ricerche ha preceduto l’intervento vero e proprio, reso indispensabile dalle precarie condizioni di equilibrio della statua, che presentava inoltre numerose fratture: su plinto, tronco d’albero, caviglie, ginocchia, braccio destro e parti del mantello. Ora la stabilità della scultura è assicurata da un sostegno tecnologicamente avanzato, in fibra di carbonio, ancorato al basamento. Il sostegno utilizza esclusivamente fori e incassi già esistenti ed è in grado di ridurre di circa 150 chili il peso che grava sulle fratture più delicate. Il tiraggio effettuato dalla barra, inoltre, ha posto rimedio anche lo sbilanciamento del baricentro della statua, fortemente protesa in avanti. Messo in sicurezza, l’Apollo si presenta ora con una piccola novità formale, che in realtà è frutto, come ha dichiarato Barbara Jatta, direttrice dei Musei del papa, «di un atto di coraggio». Quando fu rinvenuta, nel 1489, la scultura si presentava praticamente intatta, mancante della sola mano sinistra e delle dita della mano destra. Fra il 1532 e il 1533 Giovannangelo Montorsoli, come scrive Vasari, «rifece il braccio sinistro».

Oltre quattro secoli più tardi, negli anni ’50 del Novecento, un’importante scoperta archeologica permise il recupero, tra le rovine del palazzo imperiale di Baia, a nord di Napoli, di numerosi frammenti in gesso appartenuti a un’officina che possedeva calchi di capolavori originali della bronzistica greca. Tra questi, era anche il calco della mano sinistra, mancante, dell’Apollo del Belvedere. Con l’occasione del restauro, si è scelto di sostituire la mano del Montorsoli, che stringeva un segmento dell’arco teso dal dio, con un calco del «calco di Baia». «Un altro dardo è stato lanciato, dicono ai Musei Vaticani, e la comunità scientifica potrà giudicare la bontà di un esperimento filologico, comunque del tutto reversibile».

Arianna Antoniutti, 15 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

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