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«La Barnes Collection di Filadelfia è un museo che, per molti versi, ha le dimensioni giuste, afferma Stephen Reily, direttore fondatore di Remuseum. Trovo interessante il modo in cui i musei che non hanno gli stessi schemi o le stesse norme predefinite degli altri musei iniziano a pensare di fare le cose in modo un po’ diverso, utilizzando le risorse che hanno, magari in modi più creativi, pensando fuori dagli schemi»

Foto Michael Perez. © The Barnes Foundation

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«La Barnes Collection di Filadelfia è un museo che, per molti versi, ha le dimensioni giuste, afferma Stephen Reily, direttore fondatore di Remuseum. Trovo interessante il modo in cui i musei che non hanno gli stessi schemi o le stesse norme predefinite degli altri musei iniziano a pensare di fare le cose in modo un po’ diverso, utilizzando le risorse che hanno, magari in modi più creativi, pensando fuori dagli schemi»

Foto Michael Perez. © The Barnes Foundation

Musei americani: più grandi non sempre è meglio, entrare gratis sì

Il secondo rapporto di Remuseum condotto su un campione di istituzioni statunitensi è giunto alla conclusione che i biglietti d'ingresso raccolgono pochi fondi e allontanano potenziali visitatori e che spesso gli ampliamenti non valgono i soldi spesi

Helen Stoilas

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Per i musei d'arte essere grandi (o diventarlo) non è necessariamente il meglio, e offrire l'ingresso gratuito potrebbe davvero avere un senso dal punto di vista finanziario. È quanto emerge da un nuovo rapporto di Remuseum, un progetto di ricerca indipendente organizzato dal Crystal Bridges Museum of American Art di Bentonville, Arkansas il cui obiettivo è aiutare i musei a pensare fuori dagli schemi istituzionali. I risultati si basano su dati disponibili al pubblico ed estrapolati raccolti da 153 musei d’arte statunitensi (un campione ridotto se si considera che nel Paese si stima vi siano più di 35mila musei di ogni tipo), analizzando le loro dichiarazioni di intenti, i finanziamenti operativi e i dati relativi ai visitatori.

«I musei d’arte sono un campo su cui ci sono molte più opinioni che dati», spiega a «The Art Newspaper» Stephen Reily, direttore fondatore di Remuseum. Con la raccolta e la pubblicazione dei risultati (ma non i dati grezzi), l’organizzazione, chiarisce Reily,  mira ad «aiutare i musei d'arte a diventare più efficienti nell’adempiere alle loro missioni e nel servire il pubblico». Questo è il secondo rapporto pubblicato da Remuseum. Il primo rapporto aveva rilevato che i musei hanno in gran parte spostato la loro attenzione dalle attività di conservazione delle raccolte ai servizi e al coinvolgimento dei visitatori. Allo stesso tempo ha però constatato come molti musei non siano del tutto trasparenti in merito alle loro attività, tra cui, ad esempio, le informazioni sul numero di visitatori e i rendiconti finanziari.

Il progetto Remuseum mira a cambiare questa situazione creando un database interno «non brevettato» delle attività e delle missioni dei musei. Il nuovo rapporto ha attinto al database per analizzare l’entità dell’investimento delle istituzioni nel pubblico, sotto forma di costo medio per visitatore. Questo è stato calcolato dividendo il budget operativo totale di un museo per il numero di visitatori, che in media è risultato essere di 101 dollari per visitatore (ignorando i valori anomali, la mediana era di 82 dollari).

«È importante sottolineare che questo non significa che i musei debbano ridurre gli investimenti nei visitatori, spiega Reily. Si tratta davvero di capire come vogliono allocare e valutare quegli investimenti. Se vogliono massimizzare la quantità e la qualità di quelle visite, come si fa ada andare oltre le ipotesi, le norme, gli aneddoti e passare all’analitico?» Il passo successivo è stato di mettere direttamente in discussione alcune di queste ipotesi attraverso i dati, a partire dall’annosa convinzione che «più grande è meglio è». Da qualche decennio a questa parte tra i musei si è diffusa una tendenza espansionistica, si sono costruite sedi  più grandi e più costose per le collezioni e la programmazione, con la presunzione che avere più spazio avrebbe reso un miglior servizio al pubblico. «In realtà, per alcuni aspetti importanti, i dati mostrano che più si diventa grandi, più diventa difficile portare a termine la propria missione», osserva Reily. (Lo stessa Crystal Bridges è attualmente impegnato in un importante progetto di espansione.)

Secondo il rapporto, i musei con un budget inferiore a 12 milioni di dollari spendono in media 73 dollari per visitatore, mentre quelli con budget maggiori spendono in media 130 dollari. Questo perché, spiega Reily, le loro spese crescono insieme al loro impatto, e la maggior parte dei musei non riesce a compensare l'aumento dei costi con un aumento di visitatori. A differenza di un’azienda, che può beneficiare di economie di scala producendo a costi inferiori grazie all’espansione delle attività, i musei risentono delle «diseconomie di scala», come le definisce Reily: «E ancora, non si tratta di dire che non ci sono ragioni per cui i musei debbano espandere o aumentare i loro budget o le loro collezioni, ma dovrebbero riconoscere che così facendo stanno lanciando una sfida alla loro stessa missione».

I musei potrebbero superare queste «diseconomie di scala» offrendo, per esempio, l'ingresso gratuito, che secondo il rapporto Remuseum attira più visitatori senza aumentare i costi per il museo. Per la maggior parte dei casi, nelle istituzioni che offrivano l'ingresso gratuito il costo per visitatore era inferiore rispetto a quelle che applicavano un biglietto d'ingresso. Ad esempio, nelle istituzioni museali delle città più piccole con budget inferiori, il costo per visitatore era di 55 dollari per i musei con ingresso gratuito contro i 77 di quelli a pagamento. Nelle istituzioni delle città più grandi con budget maggiori, il costo era di 99 dollari per visitatore con ingresso gratuito contro i 128 di quelli a pagamento.

«L'ingresso gratuito potrebbe essere una strada non solo per il raggiungimento di più obiettivi, ma anche per la sostenibilità del settore», commenta Reily, spiegando che, poiché i musei in media generano ben meno del 5% delle loro entrate totali dai biglietti d’ingresso, potrebbe essere più utile per loro cercare nuovi modi per colmare le conseguenti lacune nei bilanci eliminando tali costi. «Forse, aggiunge, la prossima generazione di filantropi sta cercando un impatto pubblico, l’inclusività anziché l’esclusività, per questa unità di misura che i musei potrebbero dover adottare per attrarre il sostegno di cui avranno bisogno nei prossimi decenni».

Un altro importante tassello del puzzle della raccolta fondi è come aumentare il numero di associati del museo senza far pagare l'ingresso, poiché la partecipazione gratuita è solitamente offerta tra i vantaggi della membership. Qui  Reily attinge alla sua esperienza di direttore dello Speed Art Museum di Louisville, Kentucky, che applica una tariffa d’ingresso di 15 dollari: «La membership era, francamente, più importante delle entrate derivanti dalla vendita dei biglietti, non solo perché era un numero maggiore, ma perché costruiva relazioni che potevano poi trasformarsi in relazioni filantropiche più grandi».

Un esempio a cui i musei potrebbero guardare, stando Reily, è la radio pubblica, anche se ammette che comporta le sue sfide: «La maggior parte di noi vive in comunità in cui chiunque può avere accesso gratuitamente a tutti i contenuti della radio pubblica. Eppure sono riusciti a convincere molti di noi ad associarsi per sostenere la loro capacità di fornire quel servizio a tutti».

«Il mio obiettivo personale per i musei è chiedere: “Che cosa ci vorrebbe per raddoppiare le presenze?”,conclude. Se lo facessimo, ci lasceremmo alle spalle molte questioni di rilevanza e se i musei dovrebbero o meno ottenere il sostegno pubblico, perché dimostreremmo la nostra rilevanza attraverso il pubblico che ambiamo a servire».

Helen Stoilas, 24 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

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