Helen Stoilas
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La vittoria di Donald Trump (New York, 1946) alle recenti elezioni presidenziali negli Stati Uniti riporterà in carica l’ex presidente con un sostegno istituzionale superiore rispetto al precedente mandato (2017-21), grazie alla maggioranza dei repubblicani anche al Congresso (almeno per 2 anni, fino alla prossima tornata di «mid term»). È uno scenario che preoccupa non poco il settore dell’arte (compreso il mercato), del cinema e della cultura più in generale, i cui esponenti si erano in larghissima parte schierati a favore di Kamala Harris, l’attuale vicepresidente e candidata democratica sconfitta.
Tra le molte voci e dichiarazioni che si sono levate con preoccupazione per il ritorno del tycoon (che è anche il più anziano presidente della storia americana), le reazioni predominanti sono di incredulità, ancor prima che di rabbia. Molte figure del mondo dell’arte contattate da «The Art Newspaper», la nostra testata consorella internazionale, subito dopo le elezioni erano sconcertate di fronte ai risultati, come l’artista Deborah Kass (San Antonio, 1952), che ha semplicemente dichiarato: «Non ho parole. Questa è la mia risposta», o la filantropa Agnes Gund (Cleveland, 1938), presidente emerita del MoMA e sostenitrice, con oltre 250mila dollari, della campagna di Harris: «Non ha senso per me», dice riferendosi a come Trump è riuscito a convincere gli elettori indecisi, soprattutto nei cosiddetti «swing state», gli Stati in bilico che rappresentavano la più grande speranza dei democratici. Anche Lyndon Barrois (New Orleans, 1964), artista ed esperto di animazione digitale, dice di essersi sentito quasi «paralizzato» dall’esito delle votazioni, e di sperare che «l’arte e la cultura possano continuare a raccontare la realtà senza censure o verità alternative». La scrittrice, artista e regista singalese-americana Tanya Selvaratnam (1971) è rimasta sconvolta dal risultato, per quanto in parte se lo aspettasse: «Per me, il messaggio principale è stato che la maggioranza degli americani non era pronta a votare per una donna nera» afferma. E incoraggia chi può ottenere una doppia cittadinanza a farlo: «Io me ne andrei di corsa, abbiamo già visto nei primi quattro anni di Trump quanto le cose possano peggiorare, a partire dai divieti di viaggio e dalla completa esautorazione della Corte Suprema. E dovremmo prestare molta attenzione anche al Project 2025 (il programma di stampo conservatore per accentrare ancora più poteri nelle mani del presidente, Ndr)».
Andarsene o restare e combattere
Selvaratnam invita chi è preoccupato per ciò che potrebbe accadere a riflettere e agire per difendere le categorie più a rischio, come «gli immigrati, le persone trans e tutte le donne». Alexis Rockman (New York, 1962), artista molto attivo per la causa climatica, appare invece più possibilista, perché «è impossibile capire come si svilupperanno le cose, considerando quanto Trump sia imprevedibile». Lita Albuquerque (Santa Monica, 1946), artista che ha creato un poster per la campagna di Kamala Harris, esprime invece preoccupazione per il destino degli artisti sotto un’altra presidenza Trump: «La libertà di esplorare, di guardare il mondo con occhio critico e di dissentire sono le libertà che l’arte deve avere per evolversi, dice. Temo per la nostra libertà di espressione». Antonia Wright (Miami, 1979), artista le cui opere in tema di gravidanza e diritti delle donne sono ora in mostra al Perez Museum di Miami, è preoccupata per i ripetuti tentativi di Trump di tagliare i fondi al National Endowment for the Arts (Nea), l’agenzia federale che sostiene e promuove progetti artistici. «L’arte è sempre un bersaglio facile quando si tagliano i fondi statali, come abbiamo visto quando Ron DeSantis (governatore della Florida dal 2019, Ndr) ha eliminato 32 milioni di dollari dai fondi 2025 per l’arte in Florida» (Stato nel quale anche dopo l’ultima tornata elettorale è rimasto in vigore il vincolo di sei settimane per abortire). Una voce di speranza è infine quella di Barbara Prey (New York, 1957), artista che per 14 anni è stata nel National Council on the Arts, il consiglio consultivo del National Endowment for the Arts, per la quale un baluardo è rappresentato dal «personale storico dell’ente, che è forte e impegnato nel guidare l’istituzione al meglio».
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