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Matthew Noble, titolare della Art Noble Gallery.

Credits Michela Pedranti.

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Matthew Noble, titolare della Art Noble Gallery.

Credits Michela Pedranti.

NEW ENTRIES FOR FUTURE | Matthew Noble

In attesa della 32ma Artissima, tredici dialoghi ispirati al pensiero visionario di Richard Buckminster Fuller, per riflettere sul senso di abitare il nostro pianeta, sfidare le consuetudini e abbracciare un futuro di innovazione e responsabilità collettiva

Jenny Dogliani

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Artissima invita quest’anno a concepire un Manuale Operativo per Nave Spaziale Terra, ispirandosi all’omonimo libro di Richard Buckminster Fuller. La fiera chiama la comunità di giovani galleristi e operatori culturali a riflettere sul senso di abitare il nostro pianeta, adottando prospettive inedite, sfidando le consuetudini e abbracciando un futuro di responsabilità collettiva e innovazione.
La parola a Matthew Noble, titolare della Art Noble Gallery.

In che modo un’opera o un artista hanno fortemente trasformato il vostro modo di abitare il nostro «pianeta-mondo», influenzando il vostro sguardo critico e la vostra azione curatoriale?
Ogni incontro con un artista giovane è per noi un’esperienza trasformativa, di profonda messa in discussione e di costruzione e decostruzione vicendevole: sono loro a ridefinire il modo in cui guardiamo al presente. Alcuni lavori ci hanno insegnato che abitare non significa solo occupare uno spazio, ma riconoscerne anche le dinamiche di inclusione ed esclusione, di domesticazione e resistenza. Questo sguardo critico è oggi più urgente che mai: ci invita a pensare il paesaggio, la città e il pianeta come luoghi attraversati da forze invisibili che continuamente rimodellano il nostro modo di abitarli. Sono riflessioni che trovano eco anche nella mostra che abbiamo inaugurato a fine settembre, dedicata ai processi di domesticazione e resistenza nello spazio sociale e simbolico, in un’ottica che Fuller definirebbe di «Spaceship Earth»: la Terra come nave condivisa, dove ogni azione modifica l’equilibrio complessivo.

Nella vostra pratica di galleristi, come conciliate l’intuizione e la capacità di affrontare l’imprevisto con le esigenze di pianificazione e il rigore necessari ad affrontare le sfide del nostro tempo?
Essere galleristi oggi significa muoversi alla ricerca di un equilibrio costante di fronte a un moto ondivago perenne: costruire orizzonti solidi e al tempo stesso accettare che il «non previsto» generi nuove possibilità e aperture. L’arte ci mostra spesso ciò che sfugge ai dispositivi di controllo e normalizzazione, e questo è un insegnamento prezioso anche per chi guida una galleria. Il rigore è necessario, ma l’imprevisto è la fessura che apre a un’altra visione del presente ed è in quella fessura che la galleria trova la sua spinta più vitale. Soprattutto nei momenti storici che mettono a dura prova questa realtà: si dice che dalle crisi, da momenti di grande saturazione, germoglino naturalmente i semi di nuove tendenze, modelli alternativi di resistenza e futuri possibili, come un ciclo vitale destinato a perpetuarsi nel tempo.

Se poteste trasmettere un’istruzione alle prossime generazioni di artisti e operatori culturali, quale messaggio essenziale, idealmente ispirato al pensiero di Buckminster Fuller, vorreste lasciare per guidarli in questo viaggio collettivo? 
Direi: «fate della responsabilità un atto creativo». Fuller ci ricorda che la Terra è una nave spaziale condivisa: non possiamo limitarci a custodirla, dobbiamo reinventare continuamente le rotte comuni. E questo implica mettere in discussione ciò che appare ovvio, ciò che è già «addomesticato». Agli artisti e ai curatori di domani lascerei questo invito: cercate gli interstizi, i luoghi che sfuggono alla norma, perché lì nascono le visioni capaci di reinventare non solo il linguaggio dell’arte, ma anche il nostro modo di abitare insieme il pianeta. Serve un approccio quasi camaleontico: capace di adattarsi mantenendo le basi che hanno dato forma al mestiere di gallerista, curatore, artista o collezionista, ma al tempo stesso di sfondare strutture troppo rigide, destinate — come ogni ciclo vitale — a un’inevitabile saturazione e dunque bisognose di continua reinvenzione. In questo senso, la consapevolezza di essere tutti a bordo della stessa «Spaceship Earth» rafforza l’urgenza e la portata di questo esercizio creativo condiviso.

Per i dialoghi precedenti 

NEW ENTRIES FOR FUTURE | Artissima 2025

Jenny Dogliani, 07 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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