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Elena Franzoia
Leggi i suoi articoliEntrare nel laboratorio orafo di Paolo Penko, a pochi passi dalla Cattedrale di Santa Maria del Fiore, dà la suggestione di entrare in un’antica bottega dell’Arte della Seta, che a Firenze vegliava sulle lavorazioni di lusso legate non solo al pregiato tessuto, ma anche all’oro e alle pietre preziose. Sotto lo sguardo attento di un barboncino rosso che porta il nome rivelatore di Fiorino, in un luogo che colpisce più per l’operosità del fare che per l’ansia dell’esporre, ogni gioiello viene lavorato «sartorialmente». La prima cosa che si incontra è proprio il banco per il conio dell’antica moneta fiorentina in purissimo oro, il cui nome rende omaggio al simbolo civico del Giglio e che divenne nell’Europa del Rinascimento, al pari dello zecchino veneziano, moneta di scambio per eccellenza. E «orafo storico» ama definirsi Penko, le cui appassionate ricerche sul gioiello antico sono sfociate non solo nell’ambizioso progetto di ricostruzione dell’oreria granducale, simbolo di quella definitiva ascesa politica e sociale medicea cui appartiene anche lo splendido e recentemente ritrovato «Diamante Fiorentino», ma anche in incarichi di grande glamour internazionale come la creazione dei gioielli del thriller cinematografico a soggetto religioso «Conclave», girato da Edward Berger avvalendosi di numerose citazioni di arte antica e contemporanea e pluricandidato agli Oscar 2025.
Signor Paolo, come è iniziato il suo percorso di «orafo storico»?
Ho iniziato 40 anni fa. Il 5 novembre scorso abbiamo festeggiato questo importante «compleanno» a Palazzo Medici Riccardi nell’ambito del Festival Il Magnifico, che celebra l’arte, la creatività e i talenti emergenti. Il mio lavoro ruota intorno a tutto ciò che ha reso Firenze grande nei secoli. Pittura, scultura, architettura, ma anche semplicemente una pavimentazione, possono diventare qui fonte di ispirazione. È stato questo il filo conduttore del mio lavoro, nonostante le attività storiche della mia famiglia riguardassero prevalentemente la filatelia, la numismatica e il gioiello antico. Negli anni Ottanta, quando ho iniziato, c’era del resto meno attenzione nei confronti dell’arte e del passato, dell’alto artigianato come piacere di fare rivivere l’arte e la storia non solo come riproduzione estetica e culturale, ma anche come studio del metodo con cui gli oggetti venivano realizzati.
Come nasce il progetto dell’Oreria Medicea?
Ho sempre dedicato grande attenzione ai gioielli di Botticelli, Ghirlandaio, Verrocchio e soprattutto Donatello. Quando a 20 anni ho aperto bottega, in vetrina avevo la riproduzione del gioiello che compare nel «Busto di giovane» di Donatello oggi al Bargello, e cioè il medaglione con il Carro dell’Anima. Ho aperto la mia bottega come artigiano, mettendo in bella mostra il banco da lavoro con tutti i suoi strumenti, come nella tradizione fiorentina testimoniata dal Duecento a Cinquecento, quando l’Arte di Por Santa Maria (Arte della Seta) non consentiva agli orafi di portare il lavoro a casa né di lavorare di notte e le botteghe si potevano trovare solo in alcune strade, mai nascoste perché si doveva lavorare in piena vista e avere grandi sportelli aperti, come sul Ponte Vecchio. Sono però fiorentino di madre senese, e l’anima senese, l’andare in Contrada con mio zio e mio nonno in una città dove le tradizioni sono ancora vitali e quotidiane, è riemersa nel 2017-18 quando ho avuto modo di realizzare alcune opere per il Palio, come il «Masgalano». Quindi, la mia attenzione per il gioiello del passato si è sviluppata guardando a due mondi, da una parte la cultura senese e dall’altra le antiche tradizioni fiorentine come le Croci di san Giovanni, patrono della città. Non a caso 15 anni fa sono stato tra i fondatori della Scuola di Arte Sacra Fiorentina, ed è anche per questo che sono stato contattato per la realizzazione dei gioielli del film «Conclave» di Edward Berger. In quel caso lo studio della storia dell’arte ha consentito a me e ai miei figli di realizzare delle Croci che rispecchiassero il carattere dei vari personaggi. Dal gioiello di piccole dimensioni mi è poi venuta voglia di confrontarmi con oggetti più grandi, e da qui nasce il progetto dell’Oreria Medicea.
Paolo Penko con la Corona Granducale
Da che fonti è partito?
Tutto nasce dal fatto che avevo già studiato e raccontato i gioielli fiorentini e medicei nei documentari della BBC e del National Geographic, che mi hanno sempre considerato un punto di riferimento per la storia del gioiello. La riproduzione della Corona Granducale è stata forse la storia più complessa e intrigante. L’ho ricostruita partendo dai documenti originali custoditi nell’Archivio di Stato di Firenze e dal disegno presente nella Bolla Papale di Pio V del 24 agosto 1569, che riconosceva a Cosimo il titolo di primo Granduca di Toscana e accettava in analogia con il nuovo titolo anche un nuovo modello di Corona. Ho quindi pazientemente cercato di capire, lavorandoci a fondo, i processi realizzativi adottati dall’orafo fiammingo Domes, che mai erano stati svelati e gli permisero in soli tre mesi di realizzare il gioiello. Mi sono posto anche il problema della provenienza delle pietre, indiana per quelle preziose e volterrana, per la precisione da Monterufoli, per l’agata utilizzata nel cammeo centrale. La Corona fu un progetto che diventò per me quasi un’ossessione. Un po’ ci giocavo, un po’ me la provavo, di notte sognavo Cosimo che veniva a discutere di come farla o a chiedermi quando l’avrei finita. Nella realtà la Corona, su cui mio figlio Riccardo ha fatto un’approfondita tesi di laurea, fu realizzata assemblando decine e decine di elementi e utilizzando anche pietre recuperate da altri gioielli. Io ho usato strumenti moderni, ma nel gioiello originale le pietre erano fissate con perni e alette, in modo da poterle eventualmente sostituire con altre più belle. Dopo essere stata utilizzata per una sfilata di Dolce e Gabbana, la Corona è stata esposta, insieme allo scettro e al Toson d’Oro, a Palazzo Vecchio nel 2020 nella mostra «Nel palazzo di Cosimo. I simboli del potere», realizzata in collaborazione con Mu.se. Lo scettro e il Toson d’Oro, prima onorificenza ricevuta dall’imperatore Carlo V da Cosimo grazie alla moglie Eleonora di Toledo quando era ancora duca, all’epoca li avevo già realizzati, ma la Corona nacque anche dai preziosi suggerimenti dei curatori della mostra, Carlo Francini e Cristina Acidini.
E la riproduzione del celebre «Diamante Fiorentino», ritornato alla ribalta delle cronache dopo il ritrovamento in un caveau canadese?
Era un sogno che avevamo da 20 anni. La montatura in metallo prezioso con 182 diamanti incastonati alla maniera antica l’abbiamo ricostruita incrociando la documentazione presente a Firenze con un disegno conservato a Londra al Victoria and Albert Museum, ma la vera sorpresa è stata il ritrovamento in una scatolina, al Museo Archeologico, del calco in gesso del Fiorentino, la più preziosa gemma seicentesca europea. La nostra riproduzione, che pur rispettando esattamente le tecniche antiche utilizza una grande Cubic Zirconia gialla, è stata esposta nel 2022 a Palazzo Medici Riccardi nell’ambito della mostra «Il Fiorentino. Il Gran Diamante di Toscana» curata da Carlo Francini e Valentina Zucchi. Ora aspettiamo finalmente di rivedere qui a Firenze la pietra originale, almeno per una mostra temporanea.
La ricostruzione fatta da Penko del ciondolo granducale con il «Diamante Fiorentino»
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