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L’«Urna degli sposi» nel Museo Etrusco Guarnacci

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L’«Urna degli sposi» nel Museo Etrusco Guarnacci

Nella quiete di Volterra riecheggia la civiltà etrusca

Il Museo Guarnacci, riaperto tre anni fa, è un esempio di ricchezza urbana da condividere e un modello da seguire

Alberto Salvadori

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Volterra è uno dei luoghi più belli e necessari nel panorama delle piccole preziose città di provincia. Luogo millenario sovrastato da un imponente mastio mediceo, sede tuttora di un carcere, famoso anche per una pluripremiata compagnia teatrale, costellato da siti archeologici, musei, chiese e capolavori imperdibili come la «Deposizione» di Rosso Fiorentino, spedito qui in esilio, a Villamagna, dall’allora cosmopolita Firenze. Da non perdere, visitando la città, il notevolissimo graffito, realizzato tra gli anni ’50 e ’60 dal «paziente» Fernando F. all’interno dell’ospedale psichiatrico, una storia sconnessa e misteriosa, come la definiva Antonio Tabucchi. 

Peregrinando, si arriva a visitare il Museo Etrusco, conosciuto anche come Museo Guarnacci, dal nome del facoltoso prelato settecentesco autore di numerose campagne di scavo che donò la sua collezione alla città. Dopo un po’ di tempo e lavori, il museo è stato riaperto tre anni fa e, anche se in parte il fascino di un’antica raccolta si è perso, sentori persistono soprattutto in alcune sale dove rimangono vecchie, bellissime teche. Tre piani nei quali si può godere, senza stancarsi e perdersi nello sfarzo e nella bulimia espositiva delle grandi istituzioni, di tutto lo splendore della civiltà etrusca. Qui ancora si può apprezzare la quiete per una visita speciale. Questo è il museo dell’«Ombra della sera», scultura in bronzo che si porta dietro un nome, evocativo e letterale allo stesso tempo, ideato secondo tradizione da D’Annunzio; è anche il museo dell’«Urna degli sposi» dove la figura maschile sembra uscita da un dipinto di Vincenzo Campi, pittore lombardo amato da Longhi. Camminando nelle sale, spesso su un pavimento in vetro attraverso il quale si leggono mosaici, sublimi oreficerie, buccheri, ceramiche e bronzi ci circondano, sempre con grazia e discrezione, restituendoci ancora il mistero di quelle genti vissute millenni fa. Centinaia di urne funerarie con le loro facce, testimoni senza alcuna retorica di una civiltà antica, ti osservano silenziose e presenti. Tra le novità l’apertura dell’ultimo piano dal quale, grazie all’ampia vista, si entra in contatto con il meraviglioso paesaggio collinare, ricco di calanchi che, illuminato da una luce pulita, rende tutto nitido connettendoci con i tesori conservati al Guarnacci. Chi lavora al museo è gentile, coinvolto e non infastidito, come succede oramai quasi ovunque. 

Questi sono i luoghi della cultura che riescono a mantenere un dialogo aperto con chi li visita, non manifestano capricci del direttore di turno che riallestisce e ordina nervosamente, smanioso di lasciare un segno; ti fanno sentire bene, trasmettono sicurezza del lavoro fatto. Questo è un esempio di ricchezza urbana da condividere e modello da seguire, in antitesi alla mania dei grandi siti, sempre più fabbriche di biglietti per visite fugaci, oramai privi di pensiero e momenti di contemplazione. 

Alberto Salvadori, 21 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

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