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Arnaldo Pomodoro

Photo: Archivio Istituto Luce

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Arnaldo Pomodoro

Photo: Archivio Istituto Luce

Arnaldo Pomodoro, o del senso di partecipazione a una comunità

Un excursus nella carriera dell’artista tra ricerca, sperimentazione e scrittura, e nella sua vita densa di frequentazioni con registi, fotografi, letterati e poeti

Alberto Salvadori

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Arnaldo Pomodoro è stato un artista del futuro e rimarrà nella storia dell’arte per le sue invenzioni, generando un universo plastico originale, per sempre riconoscibile. Questa è la prerogativa dei grandi artisti. Già dal 1953 il suo lavoro era riconosciuto da importanti collezionisti come J. H. Hirschorn e fin da allora le parole chiave sono state ricerca, sperimentazione e scrittura, intesa come sintagma per una forma futura, che vede la definitiva consacrazione poi negli anni ’60 con la formazione delle «Colonne» e «Sfere». Questo periodo è caratterizzato da una spinta entusiasta, intensa e prolifica, di incontri, viaggi e aperture, soprattutto nella West Coast americana. 

Arnaldo Pomodoro vive in quegli anni una Milano veloce e in continua evoluzione, una città che si ricostruisce, dove l’arte corre parallela e partecipa a questo processo. Di quel periodo molto importante è l’amicizia con Ettore Sottsass Jr e Fernanda Pivano. Il suo primo viaggio negli Stati Uniti è nel 1959. Questo si rivela un momento fondamentale, durante il quale intuisce la novità che permeava la scena artistica della West Coast, con particolare riferimento a Los Angeles e San Francisco, che diventeranno qualche anno dopo, per un certo periodo, il polo centrale del suo agire. La carriera di Arnaldo Pomodoro in quegli anni si consacra definitivamente con l’insegnamento a Stanford e Berkeley e l’inizio di un percorso lungo sette decenni nel quale tutte le discipline artistiche si incrociano e diventano sempre occasione per definire il lavoro di un artista universale. 

Dall’oreficeria, con la collaborazione con Montebello, all’architettura, da ricordare il «Carapace» per Lunelli, a progetti ambientali (purtroppo mai realizzati per la solita incapacità tutta italiana di non capire e rimanere ancorati a certezze inscalfibili che bloccano idee visionarie, vedi il progetto per il cimitero di Urbino), agli allestimenti museali; come non citare la straordinaria sala d’arme del Poldi Pezzoli a Milano. Non da meno il lavoro con il teatro: ricordo tra le molte messe in scena la «Semiramide» di Rossini o la «Cleopatra» a Gibellina. Pomodoro, grazie a queste collaborazioni, ha potuto affrontare la continua sfida a dimensioni e impatto visivo differenti. Da tale capacità di lettura dello spazio ecco gli interventi iconici, come la sfera nel cortile della Pigna in Vaticano o quella alle Nazioni Unite

Le sue sculture, grandi o piccole che siano, contengono un elemento estremamente prezioso, ossia la familiarità con la parola scritta e la sua traduzione in segni. Arnaldo Pomodoro è uno dei pochi artisti che ha saputo innescare questo processo di astrazione per definire un oggetto, ed è un esercizio di grande complessità. Questa maturità nacque e crebbe anche dalla continua frequentazione con registi, fotografi, letterati e poeti, da ricordare Emilio Villa, Volponi, Arbasino, Leonetti, Gatto, Soldati, Guerra; altra figura a lui molto vicina era Ugo Mulas, con il quale ha condiviso un’amicizia stretta; molti altri potrebbero essere citati. 

Arnaldo Pomodoro è stato uno degli ultimi testimoni e protagonisti di un modo di essere e fare l’artista per il quale il senso di partecipazione a una comunità di persone per generare idee e opere costituiva un elemento essenziale, irrinunciabile. Nella scia di tale maniera di pensare e agire nel 1995, dimostrando ancora una volta grande lungimiranza, definì la sua eredità intellettuale istituendo la Fondazione con sede a Milano, a lui intitolata e il relativo premio, anche questo nato per sua volontà come un vero e concreto ambito di ricerca, dialogo e aiuto ai giovani artisti. Da allora ha sempre fatto sentire la sua vicinanza e presenza per progetti e iniziative. La Fondazione rappresenta ora più che mai la sua continuità, il suo lascito pubblico, la sua manifesta dichiarazione di condivisione e legame con il mondo. Chi oggi è coinvolto in questo lascito ha chiara la sua missione. La Fondazione ha la grande fortuna e responsabilità dell’eredità morale e materiale che una figura così unica ha lasciato e solo una mente che guardava al futuro poteva immaginare come, che cosa, e chi potesse continuare la sua ricerca e la sua forza nel dialogo. 

A chiusura di questo ricordo personale, una poesia di un amico e poeta a lui caro, Tonino Guerra.

Vorrei volare in alto

per vedere se è vero

che i pianeti di Pomodoro

sparsi nel mondo come

se la terra fosse il suo cielo

da lassù fanno un disegno

che ricorda quello dell’Orsa Maggiore

Intanto su quei mondi

e quelle parole che escono dalle crepe

e fanno pensare alle scritture sulle

tavolette di terracotta di una volta,

piove la luce del sole

che ti abbaglia

Alberto Salvadori, 26 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

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