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Bianca Cerrina Feroni
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A testimonianza della crescente influenza italiana nel Paese, la società di produzione Filmmaster si è aggiudicata, per la seconda volta, la gara d’appalto per Noor Riyadh, il grande festival della luce che illumina, fino al 6 dicembre, la capitale dell’Arabia Saudita. La quinta edizione, immaginata da Mami Katoka, Li Zhenhua e Sara Almutlaq, racconta la rapida trasformazione, «in un batter d’occhio» (come suggerisce il titolo «The Blink of an Eye»), della città che sale del Medio Oriente. Nei giorni di inaugurazione molti direttori di musei, gallerie e curatori sono arrivati per vedere l’evento e, forse, anche per avviare nuove collaborazioni. Tra consulenze artistiche (Ilaria Bonaccossa, Lucrezia Cippitelli e Davide Quadrio), progetti di formazione museale (MaXXI di Roma e Misk Foundation, partner da due anni) e studi di architettura come NOS-vision, impegnato con Ahmed Mater nel grande progetto di Land art ad AlUla, la presenza italiana è sempre più significativa. E tra i 60 artisti di ventiquattro nazionalità compaiono anche cinque italiani, a conferma di come l’Italia stia guadagnando visibilità accanto ad altri Paesi, primo fra tutti la Francia, da anni tra gli attori principali nella cooperazione culturale con il Regno Saudita.
Nel giro di pochi anni, la modernizzazione del Paese ha conosciuto una forte accelerazione, avvicinandosi con passo deciso al traguardo dell’Expo 2030 che il principe ereditario Mohammed ben Salman, re del petrolio, si è aggiudicato promettendo, tra le altre cose, la prima esposizione universale a emissioni zero. Sembra quasi un paradosso, ma nel cuore della città l’area storica di Qasr Al-Hukm è già il simbolo di questo balzo in avanti. Moderna e sostenibile, la nuova stazione della metropolitana progettata da Snøhetta Architects unisce la tradizionale forma a cono, cara alla cultura islamica, a una futuristica superficie specchiante in acciaio, mentre la luce naturale raggiunge il giardino sotterraneo, pensato come uno spazio pubblico da vivere. «Noor Riyadh si definisce attraverso le idee e la visione dei suoi artisti», racconta Nouf Almoneef, direttrice del festival.
Otolab, «DPhragma». Photo: Noor Riyadh 2025
Creatività e savoir faire italiani contribuiscono a definire il nuovo volto della città. All’interno della stazione, Francesco Simeti, artista abituato a dare nuova vita agli spazi pubblici, anima sullo schermo gigante di «Unrelenting» (2020) migliaia di immagini, che uniscono motivi orientali e occidentali, attirando i passanti in un ambiente immersivo. Subito fuori, i neon colorati di Michelangelo Pistoletto, che ripetono in diverse lingue «Love Difference» (2025) invitano invece ad amare la differenza, immaginando che una città che intende attirare sempre più abitanti non possa fare altro che valorizzare la sua vocazione cosmopolita.
E poi c’è la luce come tecnologia, per raccontare attraverso l’arte l’innovazione che pervade la società. L’installazione audiovisiva di Otolab, collettivo formato da dj, musicisti, videoartisti e designer, utilizza un nuovo software per generare fasci e disegni di luce che cambiano continuamente nello spazio, come forme in movimento. Il suono li guida e li modella, creando un ambiente che avvolge lo spettatore. Più poetica, l’installazione dello studio modenese fuse*, «Luna Somnium» (2025), è ispirata a un racconto dell’astronomo Keplero nel quale un uomo, sognando, sale sulla luna e racconta come la Terra potrebbe apparire vista da tutt’altra prospettiva. E infine le bolle iridescenti di «Blaublobbing» (2025) di Loris Cecchini, che sembrano proliferare dal lampione che le sostiene, evocando una crescita organica in contrasto con le linee nette dell’architettura.
Tra installazioni immersive e esplorazioni tecnologiche, Noor Riyadh mette in luce il dinamismo internazionale della città, con l’Italia tra gli attori della sua metamorfosi culturale.
Loris Cecchini, «Blaublobbing». Photo: Noor Riyadh 2025