L’edificio neorinascimentale che ospita la Galerie Rudolfinum a Praga compie quest’anno 140 anni. Nato come luogo dedicato alla musica e alle arti visive nel 1885, e restaurato nel 1994, da allora continua la sua attività. Nelle sue sale è allestita fino all’11 maggio «Poetics of Encryption», che la direttrice Julia Bailey descrive come «la terza e finale tappa di un’innovativa mostra nata al KW Institute for Contemporary Art di Berlino, implementata con artisti danesi alla Kunsthal Charlottenborg di Copenaghen e ora, a Praga, con i principali artisti cechi, chiamati a partecipare a questa conversazione globale».
La mostra racconta un mondo sconosciuto ai più e che tutti dovrebbero invece considerare: l’altra faccia delle tecnologie digitali che fanno ampiamente parte della nostra vita quotidiana. Il curatore Nadim Samman, partendo dal suo libro Poetics of Encryption. Art and the Technocene, edito da Hatje Cantz nel 2023 (di prossima pubblicazione in italiano, per Luiss University Press, Roma, nel 2026 con il titolo Poetica della crittografia: arte e tecnocene), ha riunito 30 artisti internazionali, esploratori della parte più sfuggente e meno ovvia della tecnologia, quella che si conosce solo superficialmente e di cui si dovrebbe invece essere molto consapevoli, perché si è soliti affidarsi agli strumenti digitali ignorandone o sottovalutandone il reale funzionamento (essendo in gran parte proprietà di aziende private).
La mostra, che indaga i modi in cui l’arte registra questa «realtà», è divisa in tre panorami immaginari: «Black Sites», in cui gli artisti esplorano la condizione di essere rinchiusi, catturati, contenuti, sepolti in una tomba tecnologica; «Black Boxes»: qui gli artisti immaginano lo stato di essere intellettualmente esclusi dagli onnipresenti prodotti di consumo e industriali; infine, «Black Hole» considera come gli archivi digitali superdensi e/o i processi computazionali rimescolano le distinzioni tra dentro e fuori, prima e dopo, senso e non senso. Le grandi sale storiche accolgono i lavori degli artisti che, dialogando senza affastellarsi, come pifferai contemporanei ci trascinano in mondi diversissimi tra loro, sia per le istanze sia per i materiali usati. È infatti una mostra molto fisica, che evita sia l’effetto luna park sia la videoimmersione, come racconta Nadim Samman: «Volevo che ogni artista scegliesse il proprio sistema per rappresentare qualcosa di immateriale. C’è “Urn 10”, il gesso di resti umani di Juliana Cerqueira Leite. “Metamorphism XIII”, composto da un pezzo di lava, è una scultura di Julian Charriere frutto della fusione di varie scorie digitali, computer, hard drive e quant’altro, mentre il collettivo Clusterduck ha utilizzato la carta in “The Detective Wall”, la sua ricerca sui meme. Ho sentito il bisogno di concentrarmi su qualcosa di fisico e tattile, perché alla fine tutto questo ha un forte impatto su di noi anche se è immateriale».
Il gatto, re dei meme in internet, torna fisicamente imbalsamato con ben otto gambe in «Panorama Cat» di Eva&Franco Mattes, duo italiano che da sempre esplora la rete in varie modalità. Il felino dialoga con il grande «anti», storico lavoro di Carsten Nicolai, entità sonora che riproduce tridimensionalmente la «Melencolia I» di Albrecht Dürer.
Le dimensioni monumentali della performance volante «Vit» di Nico Vascellari occupano un lato del salone lungo 24 metri in cui è stata sontuosamente installata la mappa dedicata alla comunicazione dal 1500 ad oggi di Kate Crawford e Vladan Joler, «Calculating Empires», vista in dimensioni più domestiche all’Osservatorio Prada nel 2024.
Ci si può immergere nel video senza immagini di Emmanuel Van der Auwera, «VideoSculpture XXV», o seguire l’ansiogena ricerca di una persona su Google nella cabina di Jon Rafman, «Videocabin I (You, the World and I)». Si esplorano le intercapedini degli spazi di Amazon, realizzati con sprezzo del pericolo, ci si appassiona al destino dei content moderators, o data cleaners, scoperti da Eva&Franco Mattes, che guardano tutto quello che compare in internet e decidono se una cosa può essere postata o no in base alle categorie imposte, o ci si perde nelle declinazioni di Dušan Zahoranský, «Mirek and Kateřina, all possible 65535 graphical variations of the alarm-clock font». La visita termina con una grande installazione ancora di Eva&Franco Mattes, «P2P», che, ispirata da un pensiero di Rem Koolhaas, costruisce un server che distribuisce opere d’arte come torrent attraverso la rete peer-to-peer.
«Poetics of Encryption» è una mostra che instilla ulteriori domande, che ci fa guardare con occhi diversi anche lo schermo del nostro computer, certi di vivere nel tecnocene. La cripta della crittografia è forse un buco nero ma ne siamo tutti attratti, oscillando tra le parole di Nadim Samman, «nello spazio latente tra esclusione, occlusione, segretezza, ricerca e speculazione riguardante l’interno della tecnologia, si dispiega una poetica emergente della crittografia», e quelle del teologo rinascimentale Nicola Cusano: «Dio è una sfera infinita il cui centro è dovunque e la cui circonferenza non è da nessuna parte».

Una veduta della mostra «Poetics of Encryption» con Juliana Cerqueira Leite, «Urn 10», 2023 e Daniel Burda, «František Fekete, Anežka Horová, Infrastructure: The Individual Representing the Whole», 2020. © Galerie Rudolfinum, foto Ondřej Polák