Alessandro Martini
Leggi i suoi articoliA criticare la scelta di un unico artista (Massimo Bartolini indicato da Luca Cerizza per l’edizione del 2024) per rappresentare l’Italia nel suo padiglione nazionale alla Biennale d’Arte di Venezia è stato Vittorio Sgarbi, oggi sottosegretario alla Cultura e lui stesso curatore del Padiglione Italia nel 2011. Era l’anno, per molti versi significativo, delle celebrazioni del 150mo anniversario dell’Unità d’Italia: il Governo era guidato da Silvio Berlusconi, il ministro era Sandro Bondi, e Sgarbi portava più di 200 artisti in un’edizione intitolata altrettanto significativamente «L’arte non è Cosa Nostra». Meglio dunque l’esposizione di molti artisti oppure di un numero limitato, addirittura uno solo per edizione? Quali sono gli elementi a favore dell’una e dell’altra ipotesi?
Eugenio Viola (Napoli, 1975), curatore dell’ultima edizione, è lapidario: «La mia posizione l’ho espressa con chiarezza l’anno scorso, quando ho presentato, per la prima volta nella storia del Padiglione Italia, un unico artista, nell’edizione 2022 della Biennale di Venezia. Questo per equiparare, finalmente, la proposta italiana a quella delle altre partecipazioni nazionali, abituate, da tempo, a presentarsi con una proposta unica e secca. È per questo che optai, rispetto allo schema trinitario proposto dai miei colleghi nelle ultime edizioni del Padiglione Italia, per un unico artista che è invece uno e trino: Gian Maria Tosatti». Chiosa lo stesso Tosatti (Roma, 1980), più possibilista: «Ogni curatore deve avere la libertà di fare le proprie scelte in base a considerazioni di volta in volta differenti».
Luca Beatrice (Torino, 1961), curatore del Padiglione Italia nel 2009 in tandem con Beatrice Buscaroli, chiarisce la sua posizione: «Cominciamo a ripristinare il Padiglione Italia nella sua sede storica ai Giardini. L’ultimo vero Padiglione risale ormai a trent’anni fa, con la Biennale di Achille Bonito Oliva. Fu un’idea non buona di Baratta e Szeemann quello di eliminarlo, ma davvero non ha senso: mai lo avrebbero accettato turchi, tedeschi e francesi. Certo, laggiù alle Tese delle Vergini non si può far altro che una mostra collettiva, perché lo spazio è troppo grande per una personale o bipersonale. Cominciammo noi, Buscaroli e io, continuarono Pietromarchi e Trione e, al di là del giudizio, quelle Biennali hanno rappresentato autentici focus sull’arte italiana che altrimenti non ci sarebbe stata, per colpa dell’assurdo provincialismo dei direttori che guardano ovunque tranne che all’Italia, il Paese che li ospita».
Gli fa eco Beatrice Buscaroli (Bologna, 1963): «La soluzione migliore sarebbe quella di rendere coerenti le scelte del curatore del Padiglione Italia con quelle che informano lo spirito generale della Biennale. Ossia: una volta nominato il curatore e conosciuta la sua indicazione generale, conformare la soluzione del Padiglione allo stesso “titolo”, magari individuando una ristretta selezione di artisti (giovani e meno giovani, ma non più di 10-15) che nell’ultimo biennio hanno proposto soluzioni originali alla riflessione sul “senso” dell’arte contemporanea».
Bartolomeo Pietromarchi (Roma, 1968) ha curato l’edizione del 2013, intitolata «Vice versa»: «Come ho sempre sostenuto, non è il numero che conta ma la qualità della proposta curatoriale e degli artisti. Ritengo che il bando non debba limitare il numero degli artisti a un massimo di tre. Il curatore dovrebbe essere lasciato libero di decidere. Lo spazio è molto grande, molto difficile e privo di qualsiasi standard museale, il che limita molto anche la stessa proposta artistica. Per questo penso che oggetto del prossimo Padiglione Italia alla Biennale di Architettura (2025) dovrebbe essere il padiglione stesso: un concorso d’idee per la ristrutturazione dello spazio, per renderlo adatto alla sua funzione, ovvero trasformarlo in un vero spazio espositivo attrezzato e funzionale con tanto di accoglienza, biblioteca, servizi ecc. Ormai l’utilizzo del padiglione, con l’estensione del periodo delle Biennali d’Arte e Architettura, è quasi continuo. In questo modo il padiglione avrebbe una sua vera identità e dignità rispetto a tutti gli altri spazi intorno che, com’è oggi anche lo stesso padiglione, non sono altro che location, spazi vuoti e anonimi, sebbene molto fascinosi. Andare a visitare il Padiglione Italia dovrebbe diventare una meta. Oltre che facilitare e migliorare le proposte curatoriali, si risolverebbe in parte anche il problema della sua ubicazione».
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