Il Musée du quai Branly di Parigi promette «un viaggio affascinante attraverso la materia, il tempo e la geografia», stando alle parole del suo presidente Emmanuel Kasarhérou. Promessa mantenuta. La mostra «Au fil de l’or. L’arte di vestirsi dall’Oriente al Sol Levante», dall’11 febbraio al 6 luglio, esplora l’uso storico dell’oro nelle arti tessili attraverso diverse culture, dal Maghreb al Giappone. «I tessuti, oltre al loro innegabile interesse estetico, gettano una luce preziosa sulle strutture sociali e sui sistemi di valori delle società in cui appaiono, spiega ancora Kasarhérou. Questi segreti sono intessuti in una rete di conoscenze che il museo si impegna a valorizzare e a diffondere, con l’obiettivo costante di spostare l’attenzione, nell’era delle macchine e delle nuove tecnologie, sull’arte dell’artigianato, sull’alleanza tra l’occhio e la mano».
Il percorso, diviso in due ampie sezioni storiche e cinque tematiche, a cura di Hana Al Banna-Chidiac, ex responsabile del dipartimento Africa e Medio Oriente del quai Branly, e Magali An Berthon, docente di Fashion Studies all’American University of Paris, è molto documentato, ricco di informazioni e di scoperte sui tessuti e sulle tecniche di lavorazione. Ma è anche una gioia per gli occhi, data la presentazione di eleganti caftani magrebini ricamati con raffinati motivi e orlature dorate, di abiti da festa afgani qât, gilet iraniani, abiti da sposa zanna dello Yemen e sete indiane decorate da mani esperte nell’arte dello zari, una lavorazione che utilizza un ordito in fili metallici d’oro e d’argento, con cui si confezionano pregiati broccati. L’occhio si perde nei dettagli.
La maggior parte dei modelli e dei tessuti esposti appartengono tra l’altro alle collezioni del museo parigino di arti primarie e civiltà d’Africa, Asia, Oceania e America. È il caso di un ammirevole abito da sposa del 1880 realizzato a Il Cairo, dove la lavorazione del tessuto è un’arte antica iniziata con l’intreccio di fili di lana e lino. L’abito in questione, dalle ampie maniche e il lungo strascico, in una pesante stoffa di satin (a quanto pare indossato da una giovane donna minuta, nonostante il peso del corsetto e della gonna), è stato realizzato secondo la tecnica del dival, che consiste nel tendere fili d’oro su un modello di cartone tagliato e fissato al tessuto da decorare. Ma anche dell’armatura da donna nükao, in satin blu, riccamente decorata in fili d’oro e d’argento, perline, specchietti, realizzata in Cina all’inizio del ’900 come costume di teatro per le rappresentazioni dell’Opera di Pechino. E ancora del mantello uchikake per una sposa giapponese del primo ’900, in taffettà damascato, ricamato a motivi vegetali con applicazioni di foglie d’oro.
Una sezione della mostra è dedicata all’arte della broderie francese, che risale già al Trecento per affermarsi a partire dal Cinquecento e soprattutto sotto il Secondo Impero, con abiti da sogno questa volta prestati dalle grandi maison di moda, come Dior e Chanel. Il percorso è poi accompagnato da creazioni della stilista cinese contemporanea Guo Pei, le cui opere, caratterizzate da sontuose decorazioni in oro, creano un dialogo tra tradizione e modernità.
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Caftano da cerimonia in fili metallici, broccato di seta, treccia d’oro (Rabat, Marocco, fine XIX-inizio XX secolo)