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Un ospite ad Art X Lagos 2022 davanti a «Ulin-Nóifo, A Lineage that Never Ends» di Victor Ehikhamenor. Cortesia di Art X Lagos

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Un ospite ad Art X Lagos 2022 davanti a «Ulin-Nóifo, A Lineage that Never Ends» di Victor Ehikhamenor. Cortesia di Art X Lagos

Perché molte fiere d’arte africane sono dominate da mercanti non africani?

Confrontando la fiera africana Art X Lagos con eventi più globali come la 1-54, emergono questioni razziali difficili a cui il mondo dell’arte fatica ancora a rispondere

Morenike Adeagbo

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La scena artistica di Lagos era in fermento all’inizio di novembre, in occasione della settima edizione della sua fiera d’arte internazionale annuale, Art X Lagos, che si è svolta dal 4 al 6 e in digitale su Artsy fino al 10 novembre. L’edizione di quest’anno, la più grande fino ad oggi, ha visto la partecipazione di 31 gallerie provenienti da oltre 40 Paesi che hanno esposto più di 120 artisti.

Fondata nel 2016 dall’imprenditrice nigeriana Tokini Peterside-Schwebig, Art X Lagos si è trasformata nel principale evento di mercato sull’arte dell’Africa occidentale e in un polo creativo annuale per l’intero mondo dell’arte africana. Non a caso, ha coinciso con il boom dell’interesse globale per l’arte contemporanea africana e ha attirato con successo l’attenzione del mondo dell’arte occidentale. Prima nel suo genere, si ipotizza un moltiplicarsi di altre fiere di questo livello in tutto il continente.

All’inizio di quest’anno mi sono trasferita da Londra a Lagos per iniziare a lavorare per una galleria d’arte. Questo mi ha permesso, per la prima volta, di partecipare fisicamente ad Art X Lagos dopo averla osservata per molti anni da lontano. Dal momento in cui sono arrivata, mi è stato chiaro quanto sia vitale per la comunità artistica dell’Africa nera avere una piattaforma locale impegnata a celebrare la propria storia, per decenni raccontata attraverso una visione coloniale, a volte regressiva. L’occasione della fiera è stata quindi una concreta riaffermazione del potere e della paternità africana.

Ho confrontato questo sentimento con quello provato il mese scorso, quando ho avuto il piacere di visitare altre due importanti fiere dedicate all’arte contemporanea africana: 1-54 Contemporary African Art Fair a Londra e AKKA a Parigi. Sebbene l’arte del continente africano non significhi necessariamente arte nera, essa si riferisce in larga misura ad artisti di colore. Tuttavia, nonostante la stragrande maggioranza degli artisti esposti in entrambe le fiere fosse di origine nera, questo dato demografico non era riflesso dai galleristi che rappresentavano questi artisti, né nel personale chiave che lavorava alle fiere, la maggior parte dei quali erano bianchi.

Ciò ha portato alla alla luce alcune preoccupazioni pressanti che vengono spesso discusse tra i miei colleghi della comunità artistica nera. È vero che il mercato è in piena espansione e che gli artisti neri hanno finalmente l’opportunità di condividere le loro storie e la loro cultura, ma chi sta effettivamente beneficiando di questo successo? Anche se sembra esserci un consenso generale sul fatto che i mercanti bianchi che vendono arte dell’Africa Nera non sono immorali, ci sono ancora diverse questioni da analizzare. Ad esempio, sia alla 1-54 che alla AKKA, è stato a volte estremamente spiacevole ascoltare e interagire con i galleristi bianchi su questioni a cui l’arte esposta faceva riferimento, come i capelli delle donne nere, la percezione della pelle nera nelle diverse regioni, e altre complessità che circondano le conversazioni sul razzismo.

Per spiegare il motivo per cui vediamo così tanti artisti neri africani in gallerie non di proprietà di neri, Majid Biggar, curatore capo della galleria Smo Contemporary Art di Lagos, afferma: «Con l’aumento della domanda di opere di artisti neri, un maggior numero di gallerie internazionali ha offerto opportunità ai giovani artisti africani, spesso privandoli di una crescita completa e graduale delle loro carriere». Ma avverte che, a fronte di un potenziale guadagno in termini di esposizione internazionale, «rischiano di perdere la piena proprietà e autonomia della loro carriera artistica e delle loro opere».

In effetti, sembra che molte gallerie internazionali non si impegnino a lungo termine con questi artisti e non siano interessate al loro sviluppo generale come artisti. Spesso questo successo non è nemmeno sostenibile. Molti artisti africani hanno l’impressione che, poiché un’opera è stata venduta una volta per un certo importo a una fiera d’arte internazionale o a un’asta, possano chiedere questi prezzi alla loro clientela locale. Loro e le loro gallerie non hanno capito che una carriera solida si costruisce su basi solide.

«Anche se gli artisti neri godono di un crescente successo, la loro rappresentazione continua a essere promossa e interpretata attraverso la lente delle loro controparti bianche», afferma Sunshine Alaible, manager e curatore capo della O’DA Art Gallery di Lagos. Secondo Alaible, a preoccupare non è tanto il fatto che artisti neri siano rappresentati da parte di galleristi non neri, quanto «il piccolo ecosistema di galleristi e commercianti dell’Africa nera».

Quello che non riusciamo ad accettare è che l’arte nera, anche se non sempre in maniera evidente, è una rappresentazione dell’esperienza nera. Le proteste del 2020 di Black Lives Matter hanno fatto molto per favorire questo dibattito e hanno visto le principali istituzioni e direttori d’arte impegnarsi a diversificare il proprio personale, i programmi espositivi e le collezioni permanenti. Ma affinché il mondo dell’arte diventi più proattivo e meno reattivo, dobbiamo assicurarci che queste promesse vengano mantenute.

Gli artisti neri di successo e le gallerie di proprietà o gestite da neri sono ancora relativamente nuove all’interno del nostro settore, e quindi le gallerie più affermate, che sono prevalentemente gestite da bianchi, continuano a condurre conversazioni importanti e a dominare la rappresentazione degli artisti neri. La situazione si fa più pesante quando è chiaro che le stesse gallerie gestite da bianchi non tentano nemmeno di assumere personale nero o di creare ambienti di lavoro che riflettano gli artisti che desiderano rappresentare e sostenere. È fondamentale che i professionisti dell’industria dell’arte comprendano che queste riflessioni si svolgono all’interno delle nostre comunità e varrebbe la pena fare pressione sulle fiere d’arte africane affinché si occupino della diversità non solo degli artisti presentati, ma anche delle gallerie che li espongono.

Morenike Adeagbo è una gallerista britannico-nigeriana di Londra, ora con sede a Lagos
 

1-54 Contemporary African Art Fair a Londra ha celebrato il suo decimo anniversario lo scorso mese. Cortesia di 1-54

Morenike Adeagbo, 23 dicembre 2022 | © Riproduzione riservata

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