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Veduta dell’allestimento della mostra «Michelangelo Pistoletto. Molti di uno» al Castello di Rivoli. Foto Fulvio Castelli, cortesia del Castello di Rivoli

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Veduta dell’allestimento della mostra «Michelangelo Pistoletto. Molti di uno» al Castello di Rivoli. Foto Fulvio Castelli, cortesia del Castello di Rivoli

Pistoletto: «L’Intelligenza Artificiale è uno strumento di liberazione»

In occasione della monografica al Castello di Rivoli, l’artista biellese ha ricreato nelle sale della residenza sabauda una «città dell’arte» tecnologica, pensata per coinvolgere i visitatori

Francesca Interlenghi

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Il Castello di Rivoli dedica a Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933), nell’anno del suo novantesimo compleanno, la grande mostra «Molti di uno», a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria (dal 2 novembre al 25 febbraio 2024). Il Museo rende così omaggio a uno dei maggiori protagonisti dell’arte della seconda metà del XX secolo e uno dei primissimi artisti che hanno partecipato alla rivoluzione dell’Arte povera, il movimento «radicale» teorizzato da Germano Celant assai critico nei confronti di un sistema che voleva l’artista «novello giullare impegnato a soddisfare i consumi raffinati e a produrre oggetti per i palati colti».
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Con la suacontinua ricerca, e mosso da un intimo desiderio di scoperta, Pistoletto è riuscito ad attraversare oltre mezzo secolo di storia producendo avvenimenti sempre nuovi e capaci di rigenerarsi con il passare del tempo, rifiutando le sterili catalogazioni, mai cedendo alle lusinghe dell’autocelebrazione, ma piuttosto privilegiando una dimensione collettiva e socialmente responsabile dell’arte. L’identità, la ricerca del sé, la memoria, la questione del tempo, la combinazionedi due unità che ne genera una terza inedita, il rapporto tra arte e vita, sono solo alcuni dei temi sui quali l’artista ha fondato la sua pratica multiforme e di cui questo progetto espositivo, appositamente realizzato per la Manica Lunga, propone una rilettura.

Riprendendo alcune delle riflessioni esposte nel suo ultimo libro La Formula della Creazione (2022), Pistoletto ha dato vita per l’occasione a una città dell’Arte strutturata come architettura percorribile e composta da 29 Uffizi, o stanze, collegati tra loro: Metaverso, Arte, Scienza, Filosofia, Legge, Diritto, Architettura, Comunicazione, Politica, Ecologia, Sorveglianza, Sport, Matematica, Spiritualità, Religione, Mitologia, Formazione, Nutrimento, Simbologia, Cosmologia, Design, Sepoltura, Storia, Urbanistica, Moda, Spazio, Scrittura, Salute, Informatica, Natura.
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Accoglie il visitatore l’opera «Metaverso Qr Code Possession-Autoritratto» (2022), un quadro specchiante che ritrae l’artista con il corpo su cui sono impressi come tatuaggi alcuni Qr code. Inquadrandoli con la telecamera dello smartphone, ciascuno rinvia a un materiale video esplicativo. È proprio partendo dai celeberrimi «Quadri specchianti», che dal 1963 lo consacrano alla fama internazionale, che Pistoletto va alla scoperta di sé stesso, cercando risposta alle grandi domande esistenziali: chi sono? che cosa sono? che cosa è il mondo in cui sono?

Da qui, il percorso espositivo prosegue lungo una struttura di legno, realizzata su disegno dell’artista, che ridelinea l’architettura della Manica Lunga suddividendola in 29 ambienti tra loro comunicanti e interconnessi attraverso una serie di porte, ciascuna recante sull’architrave l’indicazione dell’attività specifica. La forma delle porte riprende il Segno Arte concepito nel 1976 e generato dall’intersezione di due triangoli. Ispirandosi all’Uomo Vitruviano, esso inscrive idealmente un corpo umano con braccia alzate e gambe divaricate.
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Ciascun Uffizio si sostanzia delle opere iconiche del maestro, dando conto della feconda produzione artistica di Pistoletto e rivelandone al contempo la portata di carattere universale, come è manifesto nella formula della Trinamica da cui deriva la riconfigurazione del segno matematico dell’infinito, a cui l’artistalavora dal 2003 e che informa diversi Uffizi. Creato tra due cerchi continui, assunti a significato dei due poli opposti di natura e artificio, il terzo cerchio centrale, detto Terzo Paradiso, rappresenta il grembo generativo di una nuova umanità, ideale superamento del conflitto distruttivo in cui natura e artificio si ritrovano nell’attuale società.

In questa città, che è anche tecnologica, i visitatori sono insieme soggetti osservanti e osservati. Nel cuore centrale della mostra infatti, l’Uffizio Sorveglianza raccoglie ed espone le immagini registrate dalle telecamere disposte lungo tutto il perimetro della Manica Lunga, permettendo al pubblico di vedere che cosa significhi essere controllati. Non solo questa installazione di monitor, ma tutto il progetto è pensato anche come un dispositivo per coinvolgere le persone, a partire dai lavoratori che a vario titolo gravitano intorno al Museo, che potranno scegliere di essere responsabili di un singola stanza per un giorno.
Ne abbiamo parlato con l’artista.

L’esposizione si apre con un suo grande autoritratto, un quadro specchiante in versione tecnologica si potrebbe dire, inteso come possibilità di autoriconoscersi figurativamente. Ma riconoscendosi, lei riconosce «Molti di uno», come recita il titolo della mostra. Ci può spiegare questo passaggio?
Io come artista sono un ricercatore, voglio conoscere, non voglio imporre un mio segno. Se nella ricerca di me stesso trovo un segno e lo impongo, allora faccio un atto arbitrario di riconoscimento di me, perché sono io che arbitrariamente decido chi sono. Ma non ho mai voluto farlo. Per questo mi sono messo davanti allo specchio, per farmi l’auto-ritratto. In quanto mi vedo, non posso negare che esisto. E vedendomi mi ritrovo nella consuetudine della storia dell’arte, in cui gli esseri umani hanno sempre cercato di riconoscersi. Spostando però l’attenzione dal tradizionale fondo oro alla superficie specchiante, ho spostato l’attenzione dal divino trascendente, che non mi dà la risposta sulla mia esistenza, al reale contingente, scoprendo così la mia identità. Mi muovo dentro l’opera insieme a chiunque altro si presenti davanti all’opera. Quindi io sono l’altro e gli altri sono me. Questo apre a sua volta una riflessione sulla dimensione del tempo, sull’istantaneità del momento presente, che condensa in sé passato e futuro, consacrando il momento alla memoria. L’immagine che io fisso nello specchio è la memoria esatta di un momento, che prima non c’era e poi non c’è più. Però rimane e diventa in qualche modo immortale. L’immortalità è la memoria.

Nel penultimo Uffizio, quello dell’Informatica, sono appesi alla parete sei quadri colorati, in realtà dei QR code. Ognuno rimanda a un testo scritto da ChatGPT su sua sollecitazione, che chiede all’AI di creare un’opera di Michelangelo Pistoletto che non esiste. Lei parla di AI come di uno strumento di liberazione. Ci può dire il motivo?
La cosa che veramente mi impressiona è ricevere dall’AI risposta prima ancora che la mia domanda sia terminata, in tempi rapidissimi. L’AI c’è, è un cervello che ci comprende tutti e io intendo continuare a dialogarci. In quanto esseri umani viviamo in questa costante dualità: abbiamo un potere distruttivo enorme nelle nostre mani, penso per esempio alla bomba atomica, ma abbiamo anche la possibilità di accedere a un universo senza fine. Questo universo senza fine lo stiamo creando con l’AI. Essa ci offre la possibilità di essere totalmente inclusi in un’anima comune, che comprende tutte le nostre attività, che diventano fisiche e metafisiche. Ma l’AI non si fa da sola, vi concorriamo tutti noi. Ed è oggettiva, nel senso che dà risposte oggettive, non parteggia per nessuno. È oggettiva esattamente come lo sono gli specchi. Per questo l’arte, anche attraverso l’AI, deve imboccare la strada che porta via dalla guerra, via dal mondo mostruoso che conosciamo bene e nel quale continuiamo a vivere.

Francesca Interlenghi, 02 novembre 2023 | © Riproduzione riservata

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