Marco Riccòmini
Leggi i suoi articoli«Era una notte buia e tempestosa» («It was a dark and stormy night»), avrebbe scritto Sir Edward George Earle Bulwer-Lytton nel suo Paul Clifford, pubblicato nel 1830. Invece no. Era, invece, un giorno d’inverno, buio e tempestoso. Le immagini mostrano un cielo coperto, cupo, anche se a tratti luminoso; l’aria è fredda e umida, la terra fradicia, ha piovuto da poco o minaccia di farlo, e da più angolature appare la sagoma violacea e imminente del Vesuvio.
Il fotografo a Pompei posiziona l’Hasselblad sul treppiede e attende paziente. Gli scatti si susseguono senza sosta e, una volta stampati in studio, paiono fotogrammi colorati a mano d’una pellicola cinematografica senza il sonoro. Mancano gli attori e le comparse, le scene sono silenziose e deserte, le stanze, pur ricche di colori, sono però vuote, abbandonate, quasi fossero la scenografia allestita a Cinecittà immortalata prima delle riprese del film muto «Gli ultimi giorni di Pompei» di Eleuterio Rodolfi (1913), tratto dall’omonimo romanzo («The Last Days of Pompeii») di Bulwer-Lytton (1834), con un’indimenticabile Fernanda Negri Pouget nelle vesti della cieca Nidia.
Basterebbero le immagini, in questo libro di fotografie di Luigi Spina, persino senza spiegazioni e didascalie, perché dicono già tutto, e ai testi rimane il ruolo di quei cartelli neri riquadrati da cornici in stile déco che spezzano la sequenza dei fotogrammi d’un film senza il parlato. Il titolo ricorda quell’«Interno berlinese» («The Berlin Affair»), film del 1985 diretto da Liliana Cavani, recentemente premiata alla Mostra del Cinema di Venezia, col quale Spina condivide anche l’estetica decadente degli interni in una città sull’orlo della rovina, proprio come quella sommersa da ceneri e lapilli nel 79 d.C.
Interno Pompeiano,
di Luigi Spina, 480 pp., ill. col., 5 Continents, Milano 2023, € 150
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