Francesca Romana Morelli
Leggi i suoi articoliInizialmente pensata come conclusione ideale del mandato di Luca Lo Pinto come direttore artistico del Macro, la cui nomina è stata invece prorogata fino alla fine del 2024, dal 27 ottobre al 31 marzo si svolge la prima ampia antologica di Emilio Prini (1943-2016). Artista tra i più enigmatici, autentici e complessi della sua generazione, dopo avere esordito nelle primissime mostre dell’Arte povera, Prini prosegue in solitaria la rotta del proprio itinerario di ricerca, risultando oggi più che mai di straordinaria attualità. Intitolata «...e Prini» (come si trovava scritto sul citofono della sua abitazione), la mostra è curata da Lo Pinto, vicino all’artista nell’ultimo tratto della sua vita, in collaborazione con l’Archivio Prini (Genova) gestito dalla figlia Timotea, nell’intento di rispettare i principi perseguiti con coerenza dall’artista stesso: «Ho voluto esplicitare l’attitudine di Emilio a vedere il proprio lavoro come un percorso unico di continua riscrizione, spiega Lo Pinto.
“Non ho programmi, vado a tentoni”, diceva Prini mettendo mano a una ricerca sospesa tra lo “standard” e il “variabile”, in cui l’opera d’arte è concepita come una verifica empirica ed estetica, sviluppata tramite la relazione di una serie di dati prelevati dal reale. L’incessante interrogazione sulla necessità del produrre rende la pratica di Prini particolarmente rilevante, in una società caratterizzata dall’iper produzione e consumo di immagini e oggetti». Lo Pinto ricorda come l’artista lavorasse in maniera lenticolare, «rimanendo a volte anche due ore a guardare lo stesso oggetto. Ritagliava un’immagine, la ingrandiva, la modificava e poteva arrivare a fare 140 prove di stampa di una sola immagine, perché percepiva l’impossibilità di riuscire a fissare definitivamente qualcosa che per lui era in fieri». Dal 1967 al 1973 Prini vive a Genova una fase creativamente molto fertile.
Nonostante conosca poco il suo lavoro artistico, il giovane Celant ne intuisce le potenzialità e nel 1967 lo invita alla prima mostra del gruppo dell’Arte povera nella galleria genovese La Bertesca, dove realizza «Perimetro d’aria»: una stanza vuota perimetrata da fonti luminose e da un dispositivo sonoro. Da questo momento Prini prende parte alle mostre storiche del tempo, tra cui «Op Losse Schroeven: situaties en cryptostructuren» curata da Wim A.L. Beeren allo Stedelijk Museum di Amsterdam, quando fotografa gli artisti di spalle (in mostra alcuni scatti), e «When Attitudes Become Form» firmata da Harald Szeemann alla Kunsthalle di Berna, entrambe del 1969.
A un certo punto sceglie di limitare la sua presenza: accetta l’invito e nel catalogo fa riportare: «Confermo partecipazione mostra», ma arriverà al punto di non voler comparire nemmeno nei cataloghi. Poi si concede fugaci apparizioni, tra scrittura, disegni, ingrandimenti fotografici, volumi, allestimenti di vetrine; nel 1975 da Franco Toselli a Milano, concepisce «un’esposizione di oggetti non fatti non scelti non presentati da Emilio Prini», infine monta personali, modificando in continuazione l’allestimento, fino a decidere, molte volte, di non aprire la mostra. Dal 1975 si dedica a modificare, testare, rielaborare i suoi lavori: «Coltissimo, ironico, Prini è attratto dall’idea del vuoto e dell’inganno, da “trappole visive”, prosegue Lo Pinto. Mi affascina la capacità di “resistenza” alla storicizzazione della sua opera, come fa de Chirico, mosso da motivazioni personali».
L’antologica romana è frutto di uno studio approfondito per organizzare un lavoro magmatico, in perenne rielaborazione, circolare, che poteva subire nuove datazioni sulla base unicamente del pensiero dell’artista; sono stati riletti e analizzati centinaia di taccuini: «Per Prini l’arte è continuamente una “ipotesi”. Animato dalla volontà di testare i lavori, questi si rivelano una materia viva, veramente organica», conclude Lo Pinto. La mostra, che segue l’omaggio all’artista della Fondazione Merz di Torino nel 2019, curata da Beatrice Merz e da Timotea Prini, è stata concepita seguendo un criterio cronologico, che sulle pareti della sala grande del Macro illustra l’orizzonte visivo di Prini attraverso oltre 250 opere, senza alcuna distinzione tra tipologie: sculture, fotografie, inviti, interventi su cataloghi, disegni a sottolineare la coerenza del pensiero dell’artista.
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