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«Venere degli stracci» ( 1967) di Michelangelo Pistoletto

Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT in comodato presso Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino. Cortesia del Castello di Rivoli

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«Venere degli stracci» ( 1967) di Michelangelo Pistoletto

Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT in comodato presso Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino. Cortesia del Castello di Rivoli

Quale futuro per il mercato dell’arte italiano?

Ad Artefiera Bologna si è parlato, tra corridoi e stand, anche delle prospettive future dopo il mancato abbassamento dell’Iva, tra preoccupazioni e voglia di farsi sentire

Antonio Mirabelli

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Nei corridoi di Artefiera Bologna 2025 e tra le gallerie presenti alla manifestazione non si è parlato solo di trattative con i potenziali acquirenti, ma anche di futuro del mercato dell’arte e di quelli che potrebbero essere gli scenari poco rassicuranti, ça va sans dire, a seguito dell’approvazione, lo scorso 3 febbraio, del Decreto Legge n. 201 del 2024. Questo decreto, come è noto, era intriso di una speranza forte esternata dalla voce unanime del mondo dell’arte italiano che auspicava l’abbassamento dell’aliquota IVA dalla vetta del 22%. Una linea già tracciata da altri paesi dell’Unione Europea come Francia e Germania i quali, sfruttando la ghiotta occasione fornita dalla Direttiva UE 2022/542, hanno provveduto all’abbattimento dell’aliquota portandola rispettivamente al 5,5 e 7 %. Pur forte nella speranza, il Decreto Legge non ha evidenziato alcun riferimento rispetto a tale punto e quindi, almeno fino a questo momento, non sono stati rispettati gli auspici espressi, dunque l’IVA resta al 22%.

Una mancata occasione che si traduce concretamente in un indebolimento del mercato italiano, poco competitivo rispetto agli altri contesti europei, atteso che basterà varcare i confini nazionali per pagare meno tasse e portarsi a casa un’opera d’arte. Una prospettiva frustrante e deludente per i molteplici operatori nazionali che dell’arte in Italia fanno oltre che un lavoro una vera e propria missione. Perché sia chiaro, il discorso non si limita al solo coinvolgimento dell’aspetto squisitamente economico ma ad una mancata democratizzazione del sistema. Come ribadito dagli operatori del settore la preoccupazione è quella di un possibile allontanamento delle persone dall’arte. Di fatto si tratta di calcoli abbastanza semplici: un collezionista agli albori, ad esempio, nell’acquistare un’opera di modesto valore si trova a dover pagare di IVA quasi un quarto del suo valore complessivo, ciò potrebbe disincentivare l’avvicinamento al mondo del collezionismo in Italia, specialmente se si considera un mondo sempre più connesso in cui è facile spostarsi in un Paese limitrofo per concludere un acquisto a costi minori. Ciò porta ad una domanda: Quale sarebbe il valore di movimentazione di capitali verso altri mercati a discapito del Belpaese? 
Le domande trovano risposta nell’amara sintesi di un aforisma inglese che si è ripetuto nei corridoi di Artefiera: «penny wise and pound foolish» a voler intendere che ci si è concentrati a salvaguardare gli spiccioli, mancando il guadagno vero, dove gli spiccioli sono quelli dell’Iva al 22%, mentre il guadagno vero è tutto quello che sarebbe derivato se si fosse attuata una politica fiscale più clemente.

Ad ogni modo non è venuto meno lo spirito delle gallerie. Si pensa a riproporre e rimodulare i punti della questione, portare ancora più dati, essere determinati a far comprendere, soprattutto, come l’Italia potrebbe trarre giovamento da una riforma fiscale ormai necessaria se non si vuole penalizzare il comparto. Questo spirito ha scavalcato i padiglioni fieristici fino a raggiungere il cuore della città petroniana, nello specifico il Cinema Modernissimo, dove si è tenuta la prima edizione del Flash Art Italia Award. In questa occasione la Galleria ZERO…, insignita del premio come migliore galleria d’arte per questa edizione, ha dato lettura di un proclama, molto applaudito, in cui sostanzialmente si sono tirate le fila del discorso, proponendo, per l’appunto, una chiamata alle coscienze per non rimanere fermi dinanzi a quanto è successo. Dunque, la volontà di cambiare continua ad essere tenace, così come tenace è l’attaccamento al territorio. Non convince, infatti, il discorso generalizzato di aprire sedi e avamposti delle gallerie italiane in Francia o Germania perché la fiducia costruita negli anni nei confini nazionali è più forte di qualunque altra circostanza. Diciamo che non pare questa essere la priorità della questione. L’ecosistema arte italiano è florido, creativo e trasversale è una fiamma che deve essere tutelata e protetta, per citare Joseph Beuys, una fiamma che alimenta quella cultura che deve essere sviluppata e promossa anche nell’interesse delle future generazioni.

 

Antonio Mirabelli, 09 febbraio 2025 | © Riproduzione riservata

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