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Redazione
Leggi i suoi articoliDove, se non a Parigi, un formaggio può arrivare a valere milioni di euro? E il riferimento non è tanto alla tradizione gastronomica francese, quanto alla sensazione di mistero e magia che attraversa la Ville Lumiere, accendendo di possibilità ogni cosa che accade al suo interno. Figuriamoci se quel che accade è un'asta, che non a caso è anche detta «incanto», e oggetto della vendita sono una serie di opere surrealiste, che il piano di realtà lo usano solo come base per spiccare il volo verso altri reami. In quali di questi risieda l'arte di René Magritte è difficile dirlo, autore che più di ogni altro aveva l'abilità di combinare l'esistente in una forma che lo trascendesse, seppur appartenendogli.
Descrizione che calza perfettamente a «Ceci est un morceau de fromage» («Questo è un pezzo di formaggio»), un lavoro spiritoso, enigmatico e sottilmente sovversivo del pittore francese, che vi inscrive alcune delle sue tematiche più care: il paradosso tra immagine e realtà, l'alienazione dell'ordinario e il gioco inquietante tra visibile e nascosto. Valori che i collezionisti, nella «Surrealism and Its Legacy» del 24 ottobre, a Parigi, hanno quantificato nell'espressione economica di 1,87 milioni di euro, a fronte di una stima i 1-1,5 milioni di euro.
Al centro dell'opera si pone un'immagine estremamente modesta. Una fetta di formaggio, dipinta con tecnica descrittiva, accurata nel colore e nella consistenza, che la rende superficialmente indistinguibile dall'oggetto reale. Tuttavia, Magritte orchestra una vera e propria messa in scena, collocando il piccolo dipinto sotto una cupola di vetro, una campana per formaggi, a sua volta appoggiata su un piedistallo. L'opera cessa immediatamente di essere un semplice quadro per trasformarsi in un oggetto espositivo. La piccolezza della tela viene ingigantita dalla teca che la contiene, forzando lo spettatore alla presa di coscienza che ciò che sta osservando non è formaggio, ma una rappresentazione che si maschera da sostanza.
René Magritte, Ceci est un morceau de fromage
Si tratta dello stesso labile confine tra linguaggio e illusione che Magritte aveva già in opere capitali come «La trahison des images» («Ceci n'est pas une pipe», 1929). In quel caso, il pittore sottolineava come l'immagine di una pipa, per quanto fedele, non fosse mai l'oggetto in sé, e per questo l'affermazione «Questa non è una pipa» risultava vera. Ma in questo caso l'artista belga rovescia la logica. Con l'iscrizione «Ceci est un morceau de fromage», le parole impongono allo spettatore «questo è formaggio», benché l'osservatore sappia perfettamente che è solo pittura. La contraddizione è immediata e geniale: è un'affermazione di presenza che si tradisce nell'istante stesso in cui viene formulata. Il titolo, come spesso accade nell'arte di Magritte, non descrive ma disturba. L'imperativo categorico «questo è...» costringe l'occhio a un'analisi ontologica dell'oggetto. La fetta dipinta, banale di per sé, diventa così un oggetto museale, elevato e isolato, reso strano proprio dalla sua totale, innegabile quotidianità.
L'umorismo dell'opera è palpabile. La scelta di una campana per formaggi evoca le convenzioni borghesi nella presentazione del cibo e, per estensione, le vetrine dei musei. Proteggere e valorizzare un dipinto di formaggio come se fosse un reperto raro è allo stesso tempo assurdo e profondamente rivelatore. L'oggetto sotto vetro viene «protetto», quasi feticizzato, ma non smette di essere solo un'immagine. L'ironia risiede proprio in questo divario irrisolvibile tra apparenza e sostanza. «Ceci est un morceau de fromage» si colloca in un periodo fertile (1935-1937) in cui Magritte affina la sua esplorazione del divario tra parole, immagini e cose, scegliendo oggetti comuni (tavoli, scarpe, pane) per collocarli in contesti destabilizzanti. La cupola in vetro funge da cornice letterale, riecheggiando i frequenti dispositivi di mise en abyme dell'artista (il quadro nel quadro).
Si configura inoltre come una chiara critica al gusto borghese. Trattando un'umile fetta di formaggio come un oggetto d'arte prezioso, Magritte si prende gioco sia delle pretese domestiche sia del feticismo che circonda l'oggetto artistico. Più che un gioco di parole, è un «gioco di oggetti», in cui l'immagine viene trattata come se fosse consumabile e, contemporaneamente, intoccabile. Così facendo l'artista abbraccia parzialmente la logica del ready-made e l'intervento curatoriale come parte integrante dell'opera stessa. Un approccio che anticipa provocazioni celebri dell'arte contemporanea, come l'atto di esporre la banana con un nastro adesivo di Maurizio Cattelan («Comedian», 2019). E che a Parigi, in una notte di incanto, può improvvisamente prendere le sembianze di una grande vendita in asta.
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