
Arianna Antoniutti
Leggi i suoi articoliLa grande mostra «Caravaggio 2025», fino al 6 luglio ospitata presso Palazzo Barberini, si chiude con l’ultimo, drammatico quadro dipinto dal pittore poco prima della sua morte. È il «Martirio di sant’Orsola» (1610), concesso in prestito da Intesa Sanpaolo e abitualmente esposto a Napoli nelle Gallerie d’Italia. Il quadro si presenta al pubblico nella sua livrea migliore, al termine di una revisione conservativa, e ora dotato di una nuova cornice, seicentesca, che è stata adattata al climaframe realizzato ai fini di garantire una conservazione ottimale. «La responsabilità di avere in collezione l’ultimo dipinto di Caravaggio, ha commentato Michele Coppola, Executive Director Arte Cultura e Beni storici di Intesa Sanpaolo e Direttore Generale delle Gallerie d’Italia, impone il coinvolgimento dei migliori studiosi, dei massimi esperti e delle imprese private con le maggiori competenze tecniche, nella consapevolezza di prendersi cura di un pezzo di patrimonio universale. Ogni decisione è stata presa in accordo con Soprintendenza e Ministero. Il restauro conservativo, la cura attenta, la nuova cornice e una migliore protezione permettono al pubblico di conoscere sempre meglio il valore delle collezioni di Intesa Sanpaolo».
Le restauratrici Laura Cibrario e Fabiola Jatta ci illustrano le fasi dell’intervento conservativo: «Quando siamo state contattate dalla banca Intesa Sanpaolo per valutare lo stato di conservazione del “Martirio di sant’Orsola” di Caravaggio ci siamo rese conto che l’opera aveva effettivamente bisogno di un intervento di revisione. Sul dipinto si notava una discontinua e irregolare ossidazione dovuta all’alterazione degli strati di vernice trasparente finale, per cui alcune zone apparivano più opache di altre. Alcuni dettagli pittorici ad essa sottostanti, relativi sia a ritocchi sia a stesure pittoriche originali, apparivano inoltre come schermati da un leggero sbiancamento. Dall’ultimo restauro del "Martirio”, realizzato con grande competenza dai restauratori Carlo Giantomassi e Donatella Zari nel 2004 erano trascorsi vent’anni, periodo in cui il restauro si è leggermente evoluto dal punto di vista dei materiali e delle metodologie operative, consentendo un approccio diverso, con interventi più mirati e graduali, anche grazie al fatto che le analisi scientifiche hanno raggiunto nuovi traguardi. Ciononostante la nostra proposta di intervento doveva necessariamente tenere presente le scelte metodologiche ed estetiche fatte allora».

Un particolare del «Martirio di Sant’Orsola» (1610) di Caravaggio prima del restauro
Quali risultati ha presentato la nuova campagna diagnostica effettuata sul dipinto?
Prima di dare inizio al restauro conservativo del dipinto, si è attentamente pianificato l’intervento, raccogliendo tutte le informazioni possibili relative ai due ultimi restauri, quello di Antonio De Mata, realizzato a Capodimonte nel 1973, quando ancora si pensava che si trattasse di un dipinto di Mattia Preti, e quello già citato di Giantomassi-Zari. A questo scopo sono state recuperate tutte le fotografie, i grafici, le relazioni e le indagini effettuate in passato sul dipinto, quelle effettuate in occasione del precedente restauro e altre ancora, rimaste inedite. Tra queste ultime vi era la Macro X-ray Fluorescence effettuata sulla tela quando anni fa era stata esposta al Metropolitan Museum di New York: si tratta di una tecnica di imaging che, singolarmente per ciascun elemento chimico presente all’interno della pellicola pittorica, fornisce delle mappe di distribuzione indicative della sua concentrazione da pixel a pixel. Nuove indagini mirate alla soluzione di quesiti contingenti emersi durante l’attuale restauro sono state effettuate da Beatrice de Ruggieri, Matteo Positano e Claudio Seccaroni che, parallelamente, hanno anche effettuato uno scrupoloso riesame di tutto il materiale scientifico acquisito in passato. In particolare, il riesame delle mappe a suo tempo prodotte con la Macro X-ray Fluorescence si è rivelato importante per identificare e caratterizzare al meglio le zone di ritocco e identificare alcuni dettagli originali del dipinto non visibili a occhio nudo, perché ricoperti da stesure di colore attribuibili a vecchi interventi di restauro, non rimossi nel precedente intervento. Il nostro intervento è stato realizzato nel laboratorio di restauro interno alle Gallerie d’Italia in via Toledo a Napoli, messo a disposizione da Antonio Denunzio, vicedirettore del museo. Trattandosi inizialmente solo di una revisione del precedente restauro, per prima cosa abbiamo messo a punto, dopo una serie di test di solubilità, la miscela solvente più idonea per la rimozione esclusivamente degli ultimi strati di vernice, che risultavano in parte opacizzati e parzialmente ingialliti. La blanda miscela solvente veniva applicata su un supporto di carta assorbente opportunamente sagomato, in modo da consentire al solvente di restare in superficie senza rimuovere i ritocchi pittorici sottostanti. Questa «estrazione» delle vernici è stata ripetuta più volte, fino a liberare la pellicola pittorica dagli stati protettivi superficiali. Durante l’intervento ci siamo rese conto che ancora sussistevano alcuni vecchi ritocchi pittorici, forse risalenti al restauro di De Mata o più antichi, probabilmente realizzati a olio e presenti prevalentemente sui fondi e sui toni scuri, le zone più compromesse del dipinto. Durante la rimozione delle vernici si sono pure realizzati dei piccoli saggi di pulitura più a fondo, per indagare quale fosse l’originale colore dello sfondo e per cercare di capire l’andamento di quegli elementi che erano stati riconosciuti come tende ma che già dopo la sverniciatura suggerivano piuttosto la presenza di aste dritte, come lance, stendardi o alabarde. Contemporaneamente si è approfondita la pulitura dove la visione diretta e il prezioso supporto delle indagini ci suggerivano la presenza di pellicola pittorica originale non compromessa. Questa parziale pulitura più approfondita, ha permesso di recuperare i toni chiari degli incarnati e alcuni particolari dell’armatura del tiranno, indubbiamente la figura più dettagliata e rifinita dell’intera composizione. L’intervento di restauro è proseguito con l’operazione che ci ha viste impegnate più a lungo: un’attenta e minuta revisione pittorica di tutti i ritocchi non rimossi, sia quelli alterati che quelli che per scelte «puriste» erano stati mantenuti più neutri. Tale reintegrazione è stata realizzata con colori a vernice della Gamblin, con l’ausilio di lenti d’ingrandimento, necessarie per portare a tono con l’originale anche minime porzioni di ridipintura. Sui fondi non si è potuto restituire l’originario tono scuro e freddo, perché qui le ridipinture risultavano troppo estese e si sarebbe corso il rischio di appesantire l’intera presentazione estetica. Il nostro intervento è terminato con la verniciatura finale, eseguita per nebulizzazione, allo scopo di proteggere la pellicola pittorica e consentire la corretta lettura dei dettagli del dipinto.
Quali sono gli elementi di novità, ora visibili al pubblico e agli studiosi?
Tra gli elementi messi in luce dopo la parziale pulitura più approfondita, grazie alle nuove indagini, si sono recuperati alcuni fondamentali dettagli, tra cui la bocca, i baffi e il mento del pellegrino col cappello a falda accanto a Orsola, ma soprattutto l’intero perimetro dell’elmo e il naso dell’armigero visibile alla destra di Attila, di cui Giantomassi e Zari avevano recuperato già parte della decorazione. Sono infine state riscoperte le maglie della cotta metallica del re unno, la corda dell’arco che impugna e abbiamo potuto leggere meglio anche l’elmo di un soldato dietro la testa di Orsola, elmo simile a quello visibile nel dipinto della «Liberazione di san Pietro» di Battistello Caracciolo al Pio Monte della Misericordia. Questi recuperi, piccoli ma importanti per la lettura del dipinto, sono stati effettuati grazie all’ausilio delle nuove indagini, ma non è detto che in futuro il «Martirio» non possa rivelare altre sorprese.

Il «Martirio di Sant’Orsola» (1610) di Caravaggio dopo il restauro
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