Flavia Foradini
Leggi i suoi articoliA quasi 25 anni dalla promulgazione dell’apposita legge austriaca sulle restituzioni, Klaus Albrecht Schröder, direttore dell’Albertina, fa il punto della situazione e ricorda come quella legge sia stata «esemplare: con quella determinazione è un provvedimento che non è stato adottato né in Germania, né in Svizzera e neppure in Francia o in America». Il museo che dirige, prosegue con la consueta chiarezza, «porta avanti ormai da decenni un’attiva politica di restituzione di opere giunte nelle nostre collezioni in modo illegittimo. Noi non le dobbiamo e non le vogliamo possedere».
Tuttavia l’oggi 68enne storico dell’arte torna a chiedere una prescrizione per i reati di razzia durante la seconda guerra mondiale (lo aveva già affermato nel 2015 in una nostra intervista) e ribadisce la sua idea: «Perché lasciare aperto il tema ad infinitum? Si potrebbe stabilire come limite da oggi un tempo di 20-30-40 anni» oltre i quali non sia più possibile chiedere una restituzione: «È un capitolo che a distanza di 100 o 150 anni dovremo aver elaborato e concluso, così come è stato fatto con le precedenti razzie della Storia. A San Pietroburgo e a Brema ci sono opere di Dürer rubate all’Albertina all’inizio del XIX secolo, ed è un reato che non ha prescrizione, ma non le chiederò indietro».
Dal canto suo, in questo quarto di secolo di continua ricerca sulla provenienza di opere razziate durante la seconda guerra mondiale, la Commissione austriaca per la restituzione non ravvisa un prossimo esaurimento della sua necessità di agire, anzi. «Proprio in questo periodo stiamo vivendo una sorta di boom della memoria, in termini di provenienza e restituzione», dice la direttrice Pia Schölnberger, che ricorda tuttavia anche come la morte di ormai quasi tutti coloro che subirono spoliazioni produca un sempre maggior numero di eredi sparsi per il mondo e conseguenti sempre maggiori difficoltà di ricostruzione dei fatti. «Stiamo lavorando contro il tempo», afferma.
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