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Arianna Antoniutti
Leggi i suoi articoliDopo cinquant’anni la Chiesa di Santa Caterina dei Funari ha riaperto le porte. Situata tra via dei Funari e via Caetani, nasce nel XII secolo intitolata a santa Maria Domine Rosae, ma la sua facciata in travertino, a due ordini di paraste corinzie, si deve a Guidetto Guidetti, che la realizza fra il 1560 e il 1564. Al suo interno, tornati finalmente visibili, si conservano capolavori come la tela con la «Santa Margherita» di Annibale Carracci che, come apprendiamo da Bellori, suscitò l’ammirato stupore di Caravaggio: «Collocato il quadro sull’altare per la novità vi concorsero li pittori, e tra li vari discorsi loro, Michel Angelo da Caravaggio dopo essersi fermato lungamente a riguardarlo, si rivolse, e disse: “mi rallegro che al mio tempo veggo pure un pittore”».
L’apertura della chiesa si deve all’impegno dell’Asp Istituto Romano di San Michele e del suo presidente Giovanni Libanori. Le operazioni di riapertura e di restauro di alcune parti dell’edificio, di proprietà dell’Istituto, sono avvenute sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza Speciale di Roma, come ci illustra Serena Di Giovanni, funzionario storico dell’arte della Soprintendenza:
«In seguito alla recente acquisizione del complesso di Santa Caterina dei Funari da parte dell’Istituto Romano San Michele, insieme al rilevante patrimonio storico artistico e culturale in esso custodito, la Soprintendenza Speciale, diretta da Daniela Porro, ha avviato un proficuo percorso di collaborazione con la proprietà. Tale dialogo sta progressivamente conducendo a risultati significativi in termini di tutela e valorizzazione del monumento. L’interlocuzione è orientata non solo alla riapertura, valorizzazione e fruizione pubblica della chiesa, ma anche alla salvaguardia e alla corretta gestione dei beni mobili conservati al suo interno, molti dei quali si trovano in una condizione di particolare fragilità: manufatti sacri e storico artistici provenienti in gran parte dall’antico complesso (Chiesa, Convento, Conservatorio di Santa Caterina della Rosa), una vera e propria collezione d’arte sacra, oggetto di una parziale campagna di catalogazione circa quarant’anni fa a cura dell’allora Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma, poi ripresa, ma non ultimata, nel 2005 e nel 2011.
La Chiesa di Santa Caterina dei Funari, ricostruita a partire dal 1560 per impulso di Ignazio di Loyola e del cardinale Federico Cesi, su progetto di Guidetto Guidetti, è parte di un articolato sistema assistenziale e devozionale comprendente il Conservatorio di Santa Caterina della Rosa, noto come Compagnia delle Vergini Miserabili Pericolanti, destinato al recupero morale e sociale di giovani donne in condizioni di vulnerabilità. Le origini del complesso risalgono all’età medievale e l’intero insieme si distingue per una rilevante stratificazione storica e per un apparato decorativo di altissimo livello, che comprende opere di Annibale Carracci, Scipione Pulzone, Girolamo Muziano e Marcello Venusti, testimonianza del ruolo di primo piano del sito nella transizione tra cultura manierista e barocca. Il programma decorativo della chiesa e le opere realizzate per le cappelle e per la compagnia erano strettamente connessi alla funzione assistenziale del complesso: le immagini avevano infatti la finalità di ispirare le giovani del Conservatorio ad affidare la loro vita al Signore».
Quali interventi sono stati effettuati in occasione della riapertura del complesso?
Sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza, seguita dagli architetti Alessandro Mascherucci, responsabile del Rione Sant’Angelo, e Andrea Valerio Canale, è stato restaurato il portone ligneo principale, effettuando la revisione di una porzione della pavimentazione in cotto presso l’ingresso. È stata anche eseguita la pulitura generale, con interventi puntuali sulle parti in travertino del sagrato (lacune, mancanze, risarciture e stuccature), restaurando la base del portale interno con ripristino degli stucchi mancanti e revisione degli intonaci negli imbotti laterali. Infine, è stato aggiornato l’impianto illuminotecnico interno senza opere murarie, con sostituzione delle apparecchiature luminose con modelli identici per tipologia, posizionamento e intensità.
Per quanto riguarda la cura e supervisione delle operazioni di movimentazione temporanea dei beni dalla sagrestia della chiesa, a un deposito dell’Istituto Romano San Michele, la tutela e la valorizzazione dei reperti coinvolti, provenienti in gran parte dalla chiesa e dall’antico Conservatorio di Santa Caterina, demolito nel 1940, cui fece seguito un lungo periodo di abbandono, si inserisce in un più ampio progetto di salvaguardia della memoria storica e dell’identità del luogo. Le operazioni, avviate dall’Istituto Romano San Michele, sotto la supervisione di Tommaso Strinati e coordinate, per la Soprintendenza Speciale, da Ilaria Sgarbozza (responsabile per la parte storico artistica del Municipio VIII) e da me (in qualità di responsabile per la parte storico artistica del Rione Sant’Angelo), hanno comportato lo spostamento temporaneo di oltre 260 reperti. I preziosi manufatti, in precedenza conservati in ambienti non idonei, sono stati trasferiti temporaneamente in spazi adeguati alla loro protezione, in attesa dei successivi interventi di tutela e valorizzazione da sviluppare in collaborazione con l’Istituto.
Questo percorso di collaborazione si inserisce nell’ambito dell’attività pluriennale avviata dall’Istituto Romano San Michele per la salvaguardia del proprio patrimonio, iniziata nel 2018 con interventi di conservazione, restauro e campagne di catalogazione condotte in stretta sinergia con la Soprintendenza Speciale. Per quanto riguarda le attività di catalogazione, esse sono state curate, per la Soprintendenza, da Alessandra Acconci, responsabile dell’Ufficio Catalogo dei beni storico-artistici, e da Roberta Porfiri, anche con il contributo diretto dei fondi dell’Amministrazione.
Aggiunge Tommaso Strinati: «La chiesa è entrata a far parte dei beni storico artistici dell’Istituto San Michele da poco più di un anno, a seguito della fusione, nel 2024, con l’Irasp, Istituti Riuniti Azienda di Servizi alla Persona che possedeva in precedenza la chiesa. A parte aperture saltuarie, Santa Caterina dei Funari era chiusa da tempo immemore, la sua riapertura è un importante atto di restituzione alla città di Roma».
Qual è la natura dei 260 reperti che si trovavano nell’ex sagrestia della chiesa?
«I reperti, spostati sotto il controllo e autorizzazione della Soprintendenza, sono di varia origine e natura: dipinti su tela, su tavola, arredi liturgici, paliotti d’altare, ma anche manufatti tessili di alto pregio. Sono pezzi che non possiedono una continuità storica perché provenienti da collezioni e nuclei fortemente smembrati e depauperati nel corso dei secoli, anche in tempo recenti. Molto vasto è pure il loro arco cronologico: si va dal tardo gotico di fine Trecento, fino a opere databili alla seconda metà dell’Ottocento».
Annibale Carracci, «Santa Margherita», Roma, Santa Caterina dei Funari
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