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Rodney Smith, «Caroline at the Top of Circular Staircase, Charleston, South Carolina», 2000 (particolare)

© Rodney Smith

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Rodney Smith, «Caroline at the Top of Circular Staircase, Charleston, South Carolina», 2000 (particolare)

© Rodney Smith

Rodney Smith, l’ingegnere del tempo perduto

Palazzo Roverella celebra il grande fotografo newyorkese con un’imponente retrospettiva che per la prima volta riunisce in Italia oltre 100 opere, perlopiù in bianco e nero

Un’ironia surreale illumina una composizione rigorosa, schiarendo i confini tra realtà quotidiana e sogno. Personaggi spesso solitari sono colti in vasti spazi, sospesi nel tempo. Una nuova realtà viene messa a fuoco dalla luce con le sue magnifiche variazioni. È questa la cifra stilistica che caratterizza il lavoro del fotografo newyorkese Rodney Smith (1947-2016), le cui opere sono esposte nella retrospettiva «Rodney Smith. Fotografia tra reale e surreale», a Palazzo Roverella (Ro) dal 4 ottobre al primo febbraio 2026. Un’ampia monografica che riunisce per la prima volta in Italia oltre 100 opere dell’autore (perlopiù immagini in bianco e nero, dato che l’artista ha iniziato a utilizzare il colore solo dal 2002), prodotta da Silvana Editoriale, che ne cura il catalogo, e promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, in collaborazione con diChroma photography, Comune di Rovigo e Accademia dei Concordi, con il sostegno di Intesa Sanpaolo. «Le persone hanno un’idea precisa della realtà, ebbe a dire Rodney Smith nel 2009. La macchina fotografica può giocare con questa percezione della realtà. Ed è ciò che mi ha sempre affascinato, dato che non sono mai sicuro di cosa sia reale e cosa non lo sia». 

In sei sezioni tematiche, che attraversano tutta la sua carriera, la mostra espone dalle nuvole temporalesche e i papaveri rossi degli esordi, nei primi anni Settanta, agli spazi eterei degli ultimi anni come «Erin in Green» (2014), passando per scatti onirici come lo «Skyline dell’Hudson River di New York» (1995). Un percorso che ha richiamato parallelismi che vanno dalle tele di René Magritte a quelle del danese Vilhelm Hammershøi, sino ad arrivare al cinema di Alfred Hitchcock e di Wes Anderson. Figlio di un magnate della moda e fotografo di moda, che siano paesaggi o ritratti, l’indubbia eleganza formale degli scatti di Rodney Smith è sempre pervasa di domande esistenziali, lui che dopo gli studi universitari in Virginia e la specializzazione in fotografia, sotto la guida di Walker Evans, conseguì un master in teologia a Yale. Le sue immagini esplorano una storia più complessa che va oltre a quel singolo istante che lo spettatore è chiamato a completare con la propria immaginazione. Come messo a fuoco nel saggio nel catalogo della critica londinese Susan Bright, Visioni cinematografiche, quei singoli fotogrammi condensano infatti intere narrazioni (contraddizioni e fattori emozionali compresi) e la domanda fondamentale resta: che cosa succederà dopo?

«Smith è un autentico ingegnere del tempo perduto. Misura, calcola e soppesa per costruire, in un modo che lui solo conosce, quest’ordine geometrico del pensiero», spiega la curatrice della mostra Anne Morin, direttrice di diChroma photography, sottolineando la maestria del fotografo nel «vedere con gli occhi della mente» e paragonando la sua capacità di passaggio tra mondi, tra visibile e invisibile, tra volo e caduta, a quella di Alice di Lewis Carroll: «Lo spazio immaginario di Rodney Smith è un luogo di transizione, una condizione intermedia fra l’essere e il divino, fra razionalità e finzione: un modello trasversale della natura umana che non appartiene più interamente al mondo degli uomini e non ancora interamente al divino».

Quelle immagini riescono a dare corpo a una profonda dualità, riferisce Leslie Smolan, che è stata sua moglie e collaboratrice per oltre trent’anni, ed è oggi direttrice esecutiva della Estate of Rodney Smith: «Che siano viste come narrazione visiva o ricerca filosofica, le sue fotografie possiedono sempre un potere trascendente che continua a risuonare ancora oggi, molto dopo la sua scomparsa. Ci sfidano a guardare il mondo e noi stessi attraverso una lente diversa che ci consente di abbracciare la bellezza, la stravaganza, l’umorismo, la malinconia e lo sforzo incessante. Il suo lavoro ci ricorda che l’esistenza umana è un esercizio di mirabile contraddizione: siamo capaci di incarnare simultaneamente esperienze multiple e apparentemente incompatibili».

Morto nel dicembre 2016, Rodney Smith ha lasciato due preziosi doni: il suo mondo onirico e la sua visione del reale: «La fotografia è una risposta al mondo, non un suo riflesso. È un tentativo di estrarre l’ordine dal caos, la conoscenza dalla confusione, la saggezza dall’ignoranza e, in ultimo, la bellezza dalla disperazione», diceva.

Sanzia Milesi, 03 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

Rodney Smith, l’ingegnere del tempo perduto | Sanzia Milesi

Rodney Smith, l’ingegnere del tempo perduto | Sanzia Milesi