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L’installazione dedicata alla sostenibilità del Padiglione dell’Egitto alla Biennale Architettura

Image © Luca Capuano. Courtesy of La Biennale di Venezia

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L’installazione dedicata alla sostenibilità del Padiglione dell’Egitto alla Biennale Architettura

Image © Luca Capuano. Courtesy of La Biennale di Venezia

Roma come Il Cairo: luoghi in cui la storia non è un’opzione

Il Padiglione dell’Egitto alla 19ma Biennale di Architettura offre un’esperienza che fa percepire fisicamente la negoziazione tra ciò che deve essere preservato (un’eredità millenaria e il relativo patrimonio architettonico e artistico) e ciò che deve evolvere per rispondere alle esigenze della vita contemporanea

Salah Zikri, Emad Fikry e Ebrahim Zakaria

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Abbiamo affrontato questa Biennale con un senso condiviso di urgenza, chiarezza e curiosità. Il tema proposto da Carlo Ratti «Intelligens. Naturale. Artificiale. Collettiva», ha risuonato profondamente in noi, non solo come architetti, ma come individui profondamente coinvolti nel destino dei nostri ambienti. Il termine «intelligens» ha aperto un ventaglio di interrogativi: chi prende davvero le decisioni? Su quali conoscenze si basano? Come possiamo bilanciare crescita e conservazione? E soprattutto, come può l’architettura rispondere in modo significativo a dilemmi tanto stratificati e urgenti?

Fin dall’inizio della nostra collaborazione, ci siamo ritrovati a ruotare attorno a un’idea essenziale: il bilanciamento non come condizione finale, ma come processo dinamico e delicato. L’oasi egiziana è emersa come nostra metafora concettuale e spaziale: un luogo dove la sopravvivenza dipende dall’equilibrio tra natura e intenzione umana, dove la fragilità convive con la resilienza, e dove tradizione e cambiamento devono negoziare la convivenza. Da qui è nata «Let’s Grasp the Mirage», un’installazione interattiva che invita ogni visitatore a diventare decisore in un’esplorazione metaforica della sostenibilità.

L’installazione è incentrata su un grande vassoio sospeso in equilibrio. I visitatori posizionano blocchi, ognuno rappresentante un’azione di conservazione o sviluppo, sulla superficie. I blocchi variano per altezza e peso, e ognuno è contrassegnato da una o più intelligenze: naturale, artificiale o collettiva. Queste sfumature influenzano il comportamento del vassoio, costringendo i visitatori a confrontarsi con l’impatto in tempo reale di ogni intervento. Alcuni interagiscono in modo ludico, guidati dalla forma e dal colore. Altri si fermano a leggere e riflettere. Pur non potendo attribuire una percentuale esatta, la grande maggioranza dei visitatori finora interagisce, e molti tornano a riposizionare i blocchi dopo aver assistito alla risposta dinamica dell’installazione. Questa varietà di interazione conferma una convinzione che sentiamo profondamente: la consapevolezza può emergere sia in modo conscio che inconscio. Nel momento in cui il vassoio si inclina sotto le dita, l’equilibrio si percepisce, non solo si comprende. La semplicità dell’interazione rivela la complessità dell’idea.

L’equilibrio non è né facile né garantito: richiede tempo, pensiero critico, intenzione collettiva e, soprattutto, umiltà. Ma crediamo che le persone siano desiderose di interazioni significative. Se la nostra installazione suscita un momento di riflessione, divertimento o anche frustrazione, apre la porta a una nuova consapevolezza. Per noi, questa è l’architettura nel suo momento più urgente e più generoso. Sebbene l’oasi radichi la nostra metafora, le domande che solleva sono globali. Dai territori rurali ai sistemi planetari, dalle coste che si ritirano alle città che si espandono, ogni contesto oggi implica una negoziazione tra ciò che deve essere preservato e ciò che deve evolversi. L’oasi diventa una lente attraverso cui osservare il più ampio panorama della sostenibilità.

Le nostre radici egiziane ancorano il nostro pensiero non attraverso un simbolismo esplicito, ma attraverso una visione del mondo modellata da millenni di adattamento, ingegno e stratificazione culturale. L’Egitto è una terra di continuità e trasformazione, dove la storia non è mai solo uno sfondo, ma un partecipante attivo del presente. Portiamo con noi questa consapevolezza in ogni linea e gesto del nostro lavoro.

Siamo altresì pensatori mediterranei. Consideriamo il nostro operato come parte di un dialogo continuo con l’intera regione, e ciò trova un’eco particolarmente significativa in Italia. Egitto e Italia sono due fra le civiltà culturali più antiche e ricche del mondo, distinte ma parallele nella loro profondità storica. Entrambe hanno offerto all’umanità patrimoni architettonici che continuano a influenzare l’immaginario collettivo. Ed entrambe continuano a confrontarsi con la complessità della modernità, dove un’eredità profonda deve coesistere con le esigenze della vita contemporanea.

In città come Il Cairo e Venezia, ma anche a Roma, Napoli, Alessandria e Luxor, vediamo tensioni simili: come evolve una città senza perdere la propria anima? Come può un’infrastruttura supportare la crescita onorando al contempo la memoria? E come si accoglie il mondo senza cedere agli effetti omologanti dell’overtourism? Queste domande per noi non sono astratte: sono personali, professionali e spaziali. Sono al cuore stesso del progettare contemporaneo, in luoghi dove la storia non è un’opzione, ma un elemento fondamentale. Venezia, in particolare, ci appare come uno specchio. Anch’essa è in equilibrio tra terra e acqua, tra autenticità e messa in scena, tra eterno e mutamento. 

È un onore presentare il nostro lavoro qui, non solo come partecipanti a una mostra globale, ma come architetti che parlano attraverso preoccupazioni condivise. Venezia ci ricorda che ogni città è un ecosistema, ogni atto di costruzione una negoziazione, e ogni visitatore un potenziale collaboratore nella costruzione di un mondo più consapevole.

Non siamo venuti a offrire risposte. Siamo venuti a costruire uno spazio per la riflessione, il confronto e l’immaginazione. «Let’s Grasp the Mirage» è un invito a fermarsi, giocare, meravigliarsi. Se i visitatori se ne vanno con un senso più profondo di attenzione, o con una consapevolezza più acuta dell’importanza dell’equilibrio, allora la nostra installazione avrà raggiunto ciò che speravamo. In un mondo sempre più sbilanciato dall’urgenza e dall’incertezza, l’architettura non deve solo rispondere: deve aiutare a riequilibrare. 

Salah Zikri, Emad Fikry e Ebrahim Zakaria sono i curatori di «Let’s Grasp the Mirage», installazione del Padiglione Egiziano alla Biennale di Venezia | 19ma Esposizione Internazionale di Architettura 

Salah Zikri, Emad Fikry e Ebrahim Zakaria, 26 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

Roma come Il Cairo: luoghi in cui la storia non è un’opzione | Salah Zikri, Emad Fikry e Ebrahim Zakaria

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