Image

Bernardo Bellotto, «Le rovine del vecchio Kreuzkirche, Dresda», 1765

Image

Bernardo Bellotto, «Le rovine del vecchio Kreuzkirche, Dresda», 1765

Rovine, ciò che rimane alla fine di una guerra

Jean-Yves Jouannais scrive un ritratto inedito e terrificante sull’altra faccia dei conflitti dalla Mesopotamia fino alla Seconda guerra mondiale

Elena Giovanna Fillia

Leggi i suoi articoli

L'usage des ruines, pubblicato in Francia dalle Editions Gallimard nel 2012, è la sesta opera di Jean-Yves Jouannais, storico dell’arte e scrittore francese particolarmente interessato al fenomeno della guerra. Nel luglio di quest’anno la casa editrice Johan &Levi ha inserito la traduzione L’uso delle rovine di Riccardo Rinaldi, nei Saggi d’arte, mettendo a disposizione dei lettori italiani un’opera decisamente intrigante. Il volume è sottotitolato «Ritratti ossidionali», termine peculiare ma indispensabile per accedere al testo che presenta una serie di personaggi perseguitati dall’ossessione dell’assedio, della presa delle città nemiche e della loro riduzione in cenere. 

Dalla Mesopotamia fino alla Seconda guerra mondiale le immagini di rovine, esaltazione di rovine o annullamento di rovine ci travolgono in un viaggio per certi versi doloroso ma illuminante dell’animo umano. Attraverso l’osservazione di ciò che resta dopo un’azione militare, Jouannais ci presenta un ritratto inedito e terrificante della guerra. L’originalità dell’approccio al tema viene accentuata dall’introduzione dove l’autore ci rivela il gioco letterario e di amicizia con Enrique Vila-Matas, uno dei più affermati autori spagnoli contemporanei, nella stesura dell’opera.

Ventidue sono i ritratti che si susseguono in un rumore assordante di lance, scudi, alabarde, catapulte, proiettili, bombe, mine e tutto l’armamentario che gli esseri umani, nel corso dei secoli, sono riusciti a inventarsi per distruggere e distruggersi. Si immaginano città infinitamente belle come Cartagine che non esistono più; si vedono masse infelici di abitanti ridotti a schiavi, scacciati dai loro luoghi, abusati, sterminati. Si capisce la storia di città come Dresda e Varsavia che, dopo i bombardamenti a tappeto del 1945, sono state pazientemente ricostruite grazie ai quadri del pittore veneziano Bernardo Bellotto che, nella seconda metà del ’700, le aveva dipinte con una precisione certosina. Nella Cina del 341 a.C. si assiste stupefatti allo smantellamento dell’intera città di Luoyping da parte dei suoi abitanti pur di non concederla al nemico che la assedia da tempo. Incontriamo figure come lo scrittore svedese Stig Dagermann che, dopo aver visto le rovine di Amburgo, si toglie la vita. E si potrebbe continuare raccontando le vicende più inverosimili ma tutte assolutamente vere, come si evince dalle note a fine libro.

Il volume combina un fuoco d’artificio di erudizione a una riflessione filosofica profonda. Affascina e intimorisce allo stesso tempo. La parola rovina evoca di solito ricordi del passato e invece, forse proprio perché ci siamo dovuti riabituare alla visione giornaliera della guerra e delle macerie, questo libro così sorprendente, andando a scandagliare la storia, ci rimanda a un mondo, purtroppo, assolutamente contemporaneo. 

L’uso delle rovine 
di Jean-Yves Jouannais, traduzione italiana di Riccardo Rinaldi, pp. 112, Johan & Levi Editore, 2024, Milano, € 16

La copertina del volume

Elena Giovanna Fillia, 26 gennaio 2025 | © Riproduzione riservata

Rovine, ciò che rimane alla fine di una guerra | Elena Giovanna Fillia

Rovine, ciò che rimane alla fine di una guerra | Elena Giovanna Fillia