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Giuseppe M. Della Fina
Leggi i suoi articoliTorno indietro nel tempo: un’aula universitaria della Facoltà di Lettere presso l’Università degli Studi di Siena, sette o otto studenti seduti attorno a un tavolo, il docente di Etruscologia e Antichità italiche, Mauro Cristofani, che invita, volendo divenire archeologi, a «studiare i materiali e a leggere i Promessi Sposi».
Un’indicazione che può apparire singolare, ma che voleva suggerire di assumere uno sguardo ampio e di avere attenzione per la scrittura nelle nostre eventuali pubblicazioni future. Da quell’indicazione, ripetuta anche in privato, è scaturita in me anche la curiosità di andare a ricercare oggetti di un passato lontano nelle opere degli scrittori e come vi fossero descritti e interpretati. A tentare, in altre parole, scavi letterari. Un archeologo scava di solito nel terreno, meno di frequente, seppure utilmente, negli archivi e nei depositi dei musei, ma può farlo anche nelle pagine di un romanzo o di un racconto e tra i versi di una poesia. Non vi troverà reperti nuovi, né indicazioni rispetto a cronologie o ad attribuzioni, ma elementi per comprendere meglio il significato profondo di un’opera, il valore avuto nella società del suo tempo e quello che può continuare ad avere per noi.
Ecco alcune delle scoperte che ho fatto: la Tomba dei Rilievi e la necropoli etrusca della Banditaccia a Cerveteri nel prologo del romanzo Il Giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani. Quella tomba e quella necropoli lo rinviano ad altro, al cuore della vicenda che vuole narrare. Lo scrittore afferma esplicitamente: «andavo con la memoria agli anni della mia prima giovinezza, e a Ferrara, e al cimitero ebraico posto in fondo a via Montebello».
C’è poi il Sarcofago degli Sposi sempre da Cerveteri e ospitato oggi a Roma nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia: José Luis Sampedro lo fa osservare con attenzione al protagonista (Salvatore), un anziano contadino calabrese ed ex partigiano, del suo romanzo La sonrisa etrusca (Il sorriso etrusco, nella traduzione italiana) del 1985.
Quindi ho scoperto una moneta d’oro coniata nella polis di Agrigento nel 407-406 a.C., devo indicare qualche data, altrimenti non sarei un archeologo, nelle pagine del racconto La moneta di Akragas di Andrea Camilleri.
Ho rintracciato poi il ponte etrusco-romano dell’Abbadia a Vulci in alcune delle pagine di viaggio di Giuseppe Ungaretti raccolte sotto il titolo Viaggetto in Etruria e risalenti all’agosto/settembre del 1935.
Ho ritrovato quindi un’iscrizione latina, ricomposta da diversi frammenti registrati nel Corpus Inscriptionum Latinarum e nella raccolta Inscriptiones Latinae Selectae, nelle pagine del romanzo breve Una moglie di Lidia Storoni Mazzolani, incentrato su una donna eccezionale vissuta in decenni convulsi della storia di Roma.
Non solo, ho scoperto Villa Adriana nel romanzo ben noto Mémoires d’Hadrien (Memorie di Adriano, nella versione italiana che si deve alla stessa Storoni Mazzolani) di Marguerite Yourcenar e considerato il suo capolavoro.
Come pure ho rinvenuto la statua equestre in bronzo dell’imperatore Marco Aurelio, ora nei Musei Capitolini, ma posizionata per secoli al centro di Piazza del Campidoglio a Roma per volontà di Michelangelo, nel racconto Omaggio a Marco Aurelio presente nella raccolta Profilo di Clio di Iosif Brodskij, premio Nobel per la Letteratura nel 1987. Lo scrittore e poeta, la intravide, per la prima volta, attraverso il parabrezza di un taxi mentre, a Piazza Venezia, era bloccato nel traffico serale, anzi gli fu indicata dal tassista.
In chiusura della campagna di scavo, come accade anche quando si lavora sul terreno, una sorpresa: il Cippo di Perugia con una delle iscrizioni etrusche più lunghe giunte sino a noi, balzata fuori dal racconto Guidoberto e gli Etruschi nel Libro degli errori di Gianni Rodari. Uno scritto che si conclude con questa considerazione: «Quello che non si sa ancora, è sempre più importante di quello che si sa».
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