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Francesca Romana Morelli
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Al Macro una città pop in odor di Poverismo
Nel 1964 Pierre Restany osservava dei décollage di Mimmo Rotella: «Queste immagini-forza scaturite dai muri romani (...) sono diventate più reali del mito che pretendevano di incarnare, più reali della realtà stessa che dovevano rappresentare; la star che è “scoppiata” è infinitamente meno “star” ma infinitamente più “donna”. Grazie a Rotella, Cinecittà lacerata è diventata una città aperta».
Questa riflessione del critico francese teorico del Nouveau Réalisme restituisce il clima della mostra «Roma Pop City 60-67» al Macro di via Nizza fino al 27 novembre, curata da Claudio Crescentini, Costantino D’Orazio, Federica Pirani, coadiuvati da un folto comitato scientifico di critici e testimoni dell’epoca, quali Nanni Balestrini, Achille Bonito Oliva, Maurizio Calvesi, Fabio Sargentini e Lorenza Trucchi. È esposto un centinaio tra dipinti, sculture, fotografie, installazioni, film d’artista e documentari, questi ultimi prestati dalla Cineteca Nazionale.
La mostra si focalizza sul passaggio dal quadro allo spazio vissuto e all’installazione, contribuendo all’affermazione dell’Arte povera. Di Pino Pascali sono esposti i «Bachi da setola», presentati nel 1968 alla galleria L’Attico, insieme alle installazioni «Trappola» e «Ponte». Di Kounellis è esposto «I segnali» (1961), che appartiene alla fase di ricerca indicata dall’artista come il «vero inizio» di un rapporto con lo spazio esterno al quadro; è il caso di «Event con segnali», in cui l’artista indossa una sua tela e stende lettere, numeri e segni, che poi canta, su tele a parete.
In mostra sono allestite anche opere di Tano Festa, Giosetta Fioroni, Mario Ceroli, Renato Mambor, Titina Maselli, Fabio Mauri, Mario Schifano, Cesare Tacchi, Giuseppe Uncini, Luca Maria Patella, Mario Schifano e Nanni Balestrini. Al Macro Testaccio, dal 22 settembre al 16 ottobre, sono aperte due personali. L’artista e cineasta austriaco Edgar Honetschläger (1967) propone la proiezione del suo recente road movie «Los Feliz» e una serie di grandi disegni e oggetti utilizzati nelle riprese tra Roma, Vienna e Los Angeles. In «Why I Am Not a Mere Christian», Rachel Howard (1969) presenta dieci «Paintings of Violence» (2011-13), le cui misure son ricavate dall’altezza e dall’apertura delle braccia dell’artista.
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