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Il Parco Archeologico di Selinunte, diretto da un architetto come molti altri in Sicilia

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Il Parco Archeologico di Selinunte, diretto da un architetto come molti altri in Sicilia

Sicilia: agronomi e architetti negli enti archeologici

A loro è affidata la direzione di Parchi e Musei. Eppure archeologi e storici dell’arte ci sarebbero, quelli dell’ultimo concorso, nel 2000

Giusi Diana

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Non sorprendono la recente nomina di Carmelo Nicotra, un agronomo, a direttore del Parco Archeologico di Morgantina e Villa romana del Casale di Piazza Armerina e di Antonio Lutri, ingegnere civile edile, a soprintendente ai Beni culturali e ambientali di Siracusa. Non sorprendono (ma il caso è sulle pagine del «Corriere della Sera» del 23 giugno, a firma di Gian Antonio Stella) perché, unico caso in Italia, nomine come queste sono diventate la norma in Sicilia che, lo ricordiamo, è una Regione a statuto speciale fin dal 1948. A regolamentare le nomine, che se ne infischiano (secondo i più critici, e sono molti) dei saperi specialistici e della comunità scientifica, una legge regionale, il decreto 9/2022, con cui il precedente Governo regionale guidato da Nello Musumeci, ha soppresso le sezioni tecnico scientifiche nelle Soprintendenze, Gallerie d’Arte, Musei e Parchi archeologici della Regione Siciliana

Il Codice dei Beni culturali (legge dello Stato) però parla chiaro: l’Articolo 9-bis riguardo ai professionisti competenti in materia di beni culturali recita che «[...] gli interventi operativi di tutela, protezione e conservazione dei beni culturali nonché quelli relativi alla valorizzazione e alla fruizione dei beni stessi [...], sono affidati alla responsabilità e all’attuazione, secondo le rispettive competenze, di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, restauratori di beni culturali e collaboratori restauratori di beni culturali, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell’arte, in possesso di adeguata formazione ed esperienza professionale».

Le anomalie nell’amministrazione dei beni culturali in Sicilia non sono poche. Innanzitutto, come nel resto d’Italia, c’è un problema anagrafico e di organico, ma l’ultimo concorso per assumere figure tecniche dei beni culturali, così come previsto dal Codice dei Beni culturali, in Sicilia è di 24 anni fa, mentre a livello nazionale i concorsi per i ruoli tecnici dei beni culturali vengono indetti all’incirca ogni sette anni dal Ministero della Cultura. L’ultimo di questi, a livello nazionale per 518 funzionari tecnici dei beni culturali, si è appena concluso. Archeologi, restauratori e storici dell’arte potranno essere assunti in tutte le Regioni italiane, tranne ovviamente in quelle a statuto speciale, come la Sicilia, che ormai sta uscendo anche dai radar della comunità scientifica internazionale. Archeologi e storici dell’arte siciliani hanno intessuto negli anni rapporti e collaborazioni, partecipando a convegni di studi, dedicandosi alla ricerca sul campo e pubblicando su volumi e riviste. Un’attività scientifica internazionale che certo non può essere portata avanti dagli agronomi.

Da sinistra: Antonio Lutri, Carmelo Nicotra e Francesco Paolo Scarpinato

La perdita di figure di archeologi riconosciute a livello internazionale (come quella di Sebastiano Tusa, scomparso nel 2019) e i pensionamenti (tra gli altri, di Francesca Spatafora e Caterina Greco) hanno impoverito l’autorevolezza scientifica delle principali istituzioni culturali isolane. Attualmente l’unica archeologa a capo di un Parco archeologico, quello di Naxos Taormina, è Gabriella Tigano, ormai prossima anche lei alla pensione. Al posto degli archeologi, sono in molti casi gli architetti a essere stati chiamati a dirigere musei e parchi archeologici, come ad Agrigento, Segesta, Himera (Solunto e Iato) Tindari, Isole Eolie, Leontinoi (e Megara), Gela e Siracusa, dove il Parco archeologico della «Neapolis» comprende anche il Museo Paolo Orsi, Eloro, la Villa del Tellaro ed Akrai. Seguono gli agronomi: oltre Piazza Armerina, anche al Parco archeologico di Selinunte, Cave di Cusa e Pantelleria, e a Catania e Valle dell’Aci

Eppure gli archeologi e gli storici dell’arte, alla Regione ci sono: sono quelli del concorso del 2000 per «dirigente tecnico dei beni culturali», ai sensi della Legge regionale 116/1980, corrispondente alla qualifica richiesta dalla Legge regionale 20/2000 per il ruolo di direttore dei Parchi archeologici siciliani, poi di fatto demansionati a funzionari.

Intanto una lettera aperta firmata dalla Confederazione Italiana Archeologi, Italia Nostra, Memoria e Futuro, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Emergenza Cultura e Icom Italia, inviata anche al ministro Gennaro Sangiuliano, chiede all’assessore regionale dei Beni culturali e dell’identità siciliana Francesco Paolo Scarpinato di ritirare, in autotutela, il decreto 2314/2023, e al presidente della Regione Siciliana Renato Schifani di ritirare il decreto 9/2022 con cui il precedente Governo regionale ha soppresso le sezioni tecnico-scientifiche. La lettera aperta denuncia che «l’ultimo atto del processo, qui descritto, di demolizione del sistema regionale di tutela, fondato dalla normativa vigente sulle competenze disciplinari, è il ddl 366/2023, attualmente in esame all’Ars [Assemblea Regionale Siciliana, Ndr], del quale abbiamo già segnalato gli evidenti rilievi di incostituzionalità con una lettera aperta trasmessa nell’anno 2023 al ministro Sangiuliano, al presidente della Regione e ad altre autorità nazionali e regionali, in indirizzo con la presente. Segnaliamo nuovamente la pericolosità delle norme proposte dal ddl in oggetto: il silenzio-assenso nelle procedure di autorizzazione sui beni culturali; l’affidamento degli incarichi di direzione dei Musei e Parchi archeologici a dirigenti esterni sulla base di non precisati esperienze e titoli; l’assegnazione, in forma diretta, della gestione dei Luoghi della Cultura. Tale proposta legislativa regionale si pone, quindi, in netto contrasto con quanto previsto dal Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, considerato dalle sentenze della Corte Costituzionale quale norma di “grande riforma economico sociale” e, pertanto, non derogabile neanche dalle Regioni a statuto speciale».

Giusi Diana, 01 agosto 2024 | © Riproduzione riservata

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