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Riccardo Deni
Leggi i suoi articoliDomani 7 maggio, Sotheby’s Hong Kong presenterà in asta «Le gemme del Buddha storico», chiamato anche Gautama Buddha o Buddha Śākyamuni. Si tratta di una collezione di oltre 300 pietre finemente intagliate e fogli di metalli preziosi. A presentarle in asta i discendenti di William Claxton Peppé, un ingegnere coloniale che le scoprì nel 1898 nei pressi della sua tenuta nell’odierno Uttar Pradesh, nel nord dell'India. Peppé scavò un tumulo che si rivelò essere un monumento funerario, noto come stupa, nell’antico sito di Kapilavatsu, dove si ritiene che abbia vissuto la famiglia del Buddha. Insieme a ornamenti in ametista, granato, perla, cristallo di rocca e conchiglia, trovò frammenti di ossa e ceneri. L'iscrizione sulla stupa, «sharira», indicherebbe che il suo contenuto è da considerarsi associabile al Buddha.
Mentre la casa d’aste si adoperava per cucire addosso alle gemme un’asta dedicata, raccogliendole in un unico lotto dal valore stimato di circa 1,3 milioni di dollari, alcuni studiosi, tra cui da Conan Cheong, esperto di arte buddista, e Ashley Thompson, professore di arte asiatica alla Soas University di Londra, autori di un articolo uscito il 22 aprile su «Religion News Service», hanno criticato l’operato della maison. Non solo Sotheby’s starebbe vendendo delle reliquie sacre, in quanto associate al Buddha, ma ne starebbe anche sfruttando il valore religioso per incentivarne la vendita.
Nel catalogo si parla del lotto come di una «reliquia», «di incomparabile importanza religiosa, archeologica e storica». Una modalità percepita come irrispettosa e offensiva, una perpetrazione delle dinamiche coloniali che già oltre cento anni fa avevano portato alla riesumazione illegale dei manufatti. Irrilevante, dunque, la posizione presa da Sotheby’s in un comunicato dove aveva difeso la vendita sostenendo di aver verificato l’autenticità e la provenienza delle gemme. Il problema, insomma, è a monte: Peppé non avrebbe mai dovuto possedere la reliquia. Tanto che al momento del ritrovamento nel 1893, la stessa corona britannica rivendicò le reliquie in base all'Indian Treasure Trove Act del 1878 e affidò la maggior parte del contenuto della stupa al museo coloniale di Calcutta, mentre all'ingegnere fu concesso di conservare circa un quinto delle gemme.
Nella giornata del 5 maggio, il Ministero della Cultura indiano ha quindi emesso un avviso a Sotheby's Hong Kong e Peppé chiedendo di sospendere la vendita. «Questi cimeli, si legge nella dichiarazione, costituiscono un patrimonio religioso e culturale inalienabile dell’India e della comunità buddista mondiale. La loro vendita viola le leggi indiane e internazionali, nonché le convenzioni delle Nazioni Unite. Vi esortiamo a rispettare gli standard etici e la sacralità delle reliquie di Poprahwa. Siamo pronti a discutere e negoziare con il signor Chris Peppé e Sotheby’s per raggiungere un accordo amichevole nell’interesse pubblico».
Una proprietà pubblica che non è solo morale, a ben vedere, ma anche piuttosto pratica. Questo tipo di gemme venivano infatti affidate agli stupa dai fedeli stessi, che le donavano al Buddha per garantirsi benessere in questa vita e nelle successive. L’intenzione era dunque che rimanessero con le spoglie del Buddha in perpetuo. «Per la stragrande maggioranza dei praticanti buddisti, gli sharira non sono oggetti inanimati, hanno scritto Cheong e Thompson. Sono permeati dalla presenza vivente del Buddha o dei maestri buddisti».
Inoltre, secondo le pratiche buddiste, il contenuto di uno stupa non appartiene semplicemente alla comunità buddista, ma al Buddha stesso. «Trasferire e persino dividere i resti corporei per ridistribuirli è una pratica buddista normale, ha affermato Steve Jenkins, studioso della Humboldt State University, che ha scritto molto sull'etica buddista. Ma dal punto di vista etico buddista, saccheggiare uno stupa e venderne il contenuto equivale a derubare il Buddha».
Una questione che al momento non ha colpito né Sotheby’s né gli eredi di Peppé, che domani, salvo colpi di scena, vedranno aggiudicate le «loro» gemme per un valore milionario.
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