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La finestra trapezoidale più grande del Breuer, fotografata all’inizio di giugno 2025, mentre i lavori di restauro dello studio di architettura svizzero Herzog & de Meuron procedevano a ritmi serrati

Courtesy Sotheby’s. Photo of Stefan Ruiz

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La finestra trapezoidale più grande del Breuer, fotografata all’inizio di giugno 2025, mentre i lavori di restauro dello studio di architettura svizzero Herzog & de Meuron procedevano a ritmi serrati

Courtesy Sotheby’s. Photo of Stefan Ruiz

Sotheby’s riporta in vita il capolavoro brutalista di Marcel Breuer

A New York la maison avvia una transizione strutturale dell’edificio, dalla sfera pubblica a quella privata

Margherita Panaciciu

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A partire dall’8 novembre, l’ex sede del Whitney Museum of American Art al 945 di Madison Avenue, il celebre edificio brutalista progettato da Marcel Breuer, apre un nuovo capitolo della sua lunga e travagliata esistenza. Questa volta, a occuparlo sarà Sotheby’s, la storica casa d’aste, che vi trasferisce le sue attività espositive e commerciali. Un passaggio significativo, certo, ma anche emblematico di un destino architettonico mai del tutto stabile. Progettato nel 1966 come manifesto della nuova monumentalità modernista, l’edificio ha conosciuto più trasformazioni d’identità che restauri, passando da museo d’avanguardia a sede temporanea per istituzioni più conservative, e ora, a spazio semi-pubblico gestito da un attore del mercato dell’arte.

Dalla visione modernista all’incertezza istituzionale
Quando Marcel Breuer ricevette l’incarico dal Whitney negli anni ’60, si confrontò con una precisa ambizione: creare un edificio che si sottraesse alle logiche commerciali e si affermasse come spazio autonomo per l’arte americana contemporanea. Ne risultò una massa austera e compatta, un parallelepipedo di granito a sbalzo su un basamento arretrato, con finestre trapezoidali che inquadrano la città come apparizioni intermittenti. Era un’architettura che dichiarava la propria distanza dal mondo quotidiano, e che intendeva dare forma alla serietà dell’arte. L’edificio aprì in un periodo in cui gli spazi museali iniziavano a rivendicare un’identità formale autonoma, spesso più forte dei contenuti ospitati. Breuer si inserì in questo dibattito con una proposta tanto radicale quanto problematica: un edificio ermetico, privo di trasparenze, che richiedeva più una lettura ideologica che un’accoglienza funzionale. Nel tempo, però, la sua forza simbolica si è rivelata anche una fragilità. Dopo soli cinquant’anni, il museo lasciò l’edificio per trasferirsi nel Meatpacking District, in uno spazio più flessibile e accessibile. La forma imponente pensata per il XX secolo sembrava inadatta alle esigenze del XXI.

Negli ultimi dieci anni, la cosiddetta «ziggurat rovesciata» è stata al centro di un tentativo continuo di ridefinizione del proprio ruolo. Il Metropolitan Museum la usò come sede per l’arte contemporanea, il Frick vi si rifugiò durante i lavori nella sua storica sede. Ogni istituzione ha adattato gli spazi alle proprie necessità, riattivando temporaneamente un contenitore che sembrava sempre più privo di una funzione organica.

Ora arriva Sotheby’s, con un’operazione che unisce restauro e riposizionamento commerciale. Lo studio Herzog & de Meuron, tra i più competenti nell’ideare spazi museali iconici, ha adottato un approccio conservativo, limitandosi a interventi mirati sull’illuminazione, gli interni e l’accessibilità. Il risultato è sobrio, ma inevitabilmente segnato dalla natura ambigua della nuova destinazione: non più un museo, ma nemmeno un semplice showroom, uno spazio ibrido, destinato a mostre temporanee, aste ed eventi serali.

 

Dai documenti di Marcel Breuer, 1920-86. Archivi di arte americana, Smithsonian Institution/Marc e Evelyne Bernheim

Dal pubblico al privato: un cambio di paradigma
L’entrata di Sotheby’s nell’edificio di Breuer rappresenta più di un semplice «cambio di inquilino»: segna una transizione strutturale dalla sfera pubblica a quella privata, da una concezione culturale dell’architettura a una commerciale. Non è la prima volta che accade, ma qui l’operazione ha un significato particolare, data la natura simbolica dell’edificio. Breuer aveva progettato il museo come un atto di resistenza alla banalità urbana, un «tempio laico» dove la monumentalità dell’arte fosse protetta dal rumore della città. L’arte contemporanea, a suo avviso, aveva bisogno di un contenitore che ne esprimesse la serietà e la distanza critica. Oggi, quello stesso edificio diventa un’estensione del mercato, e anche se gli spazi interni rimangono riconoscibili, la loro funzione è stata profondamente ridefinita. Le famose panchine progettate da Breuer sono state trasformate in vetrine per oggetti d’asta, la hall in un’area eventi e il giardino incassato — che Breuer aveva immaginato come spazio di decompressione urbana — ospiterà un ristorante di fascia alta. Questa trasformazione solleva una domanda più ampia: quale ruolo possono ancora avere le architetture moderniste nel contesto contemporaneo, segnato da dinamiche commerciali, temporaneità e flessibilità? Il restauro di Herzog & de Meuron è stato definito «delicato», ma forse si sarebbe potuto dire cauto. Il rispetto per la pelle dell’edificio riuscirà a colmare la distanza tra l’ideologia originaria e l’uso attuale?

 

Margherita Panaciciu, 25 agosto 2025 | © Riproduzione riservata

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