Fabrizio Lemme
Leggi i suoi articoliDa qualche anno ho un interessante dialogo con un’illustre docente dell’Università la Sapienza, Barbara Mastropietro, che vi insegna Diritto d’autore e, dal 2023-24, anche Diritto privato dell’arte. Recentemente mi ha scritto che aveva in corso di elaborazione un saggio sui problemi giuridici posti dalla Street art.
In che cosa consiste tale fenomeno?
Molti artisti, specie di giovane età, ricercano la notorietà creando delle opere d’arte, soprattutto di pittura, che hanno come supporto i muri cittadini, soprattutto quelli lisci in marmo, che si prestano a ospitarle.
A volte si tratta di meri conati o aborti, altre volte, più rare, le opere dimostrano un estro e una creatività certamente sorprendenti, come nel caso del recentissimo, misterioso Banksy e, soprattutto, della pittura murale messicana (Orozco, Siqueiros, Rivera, Tamayo ecc.), che ha celebrato la rivoluzione dipingendo sui muri di Città del Messico un evento iniziato con Pancho Villa nel 1910 e ha assunto, successivamente, un carattere permanente, conoscendo altri eroi: Emiliano Zapata, prima di tutti, ma anche Lázaro Cárdenas, Plutarco Elías Calles e altri ancora.
Normalmente i muri sui quali i dipinti vengono creati non sono di proprietà dell’artista e quindi il caso pone interessanti problemi giuridici che la Mastropietro sta studiando e che mi ha anticipato. Il primo di essi, il più immediato, è di carattere penale: l’art. 639 del Codice penale punisce infatti il «deturpamento e imbrattamento di cose altrui», anche con pene detentive oltre che pecuniarie.
L’artista della Street art, quando prende un muro come supporto di una sua creazione pittorica, non intende certo «deturparlo o imbrattarlo», ma l’opera può essere talmente mediocre che l’effetto sia l’imbrattamento: non per niente esiste, nel nostro lessico, il termine «imbrattatele». Se viene tratto a giudizio per il delitto di cui all’art. 639, può il giudice ergersi a critico d’arte, condannando o assolvendo a seconda dell’esito artistico che, nella sua valutazione, abbia raggiunto o meno l’artista di strada?
Al riguardo, senza pretendere di svolgere un trattato (i miei scritti su questo giornale hanno un carattere essenzialmente divulgativo), tenuto conto dell’assoluta soggettività e opinabilità di tale giudizio, il giudice deve limitarsi a verificare, nei limiti del possibile, quali intenzioni avesse l’artista di strada: se, in altri termini, convinto della validità della sua opera, egli intendesse o meno fare pittura, non danneggiare un muro altrui. A tal fine sarà essenziale in questa ricerca un’analisi sulla sua personalità quale si è andata definendo prima della pittura murale.
Veniamo ora a problemi più strettamente civilistici. Quale sarà la posizione del proprietario dei muri rispetto all’opera ivi riprodotta dall’artista di strada? Facendo riferimento all’art. 936 del Codice civile (Opere fatte da un terzo con materiali propri), «il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle»; con l’aggiunta che «se il proprietario preferisce di ritenerle, deve pagare a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della mano d’opera oppure l’aumento di valore recato al fondo».
Il quarto comma dell’articolo in esame aggiunge che il proprietario, quando l’artista abbia operato in buona fede, non possa costringerlo a togliere le pitture. La buona fede è definita nell’art. 1147 c.c. come ignoranza (incolpevole) di ledere l’altrui diritto. E certamente colui che dipinge su pareti altrui non può accampare di avere incolpevolmente ignorato di incidere su un diritto di proprietà privata. A questo punto, allora, si pongono ulteriori problemi:
a) Il costo dei materiali si esaurisce nel prezzo dei cubetti di colore pagati dall’artista di strada;
b) Il costo della mano d’opera sarebbe una mera tariffa oraria, determinata secondo le prassi in uso: quindi, qualcosa di estremamente limitato, che non tiene assolutamente conto dell’estro creativo, a volte geniale
c) L’aumento di valore è assai discutibile: quanto vale un muro zapatista dipinto da José Clemente Orozco o Diego Rivera? E il muro, passando dalla funzione di contenimento a quella ornamentale, acquista effettivamente un maggior valore?
d) L’inventore della pittura murale è comunque proprietario del valore spirituale racchiuso in essa nonché dei relativi diritti di sfruttamento economico e di riproduzione. Al riguardo, sarei perentorio: la situazione non diverge da quella in cui l’artista abbia eseguito una tela dipinta, cedendola separatamente dai diritti di successiva utilizzazione economica.
Come è agevole vedere, i problemi giuridici sono tanti e assolutamente interessanti, al punto che attendo con impazienza il momento in cui Barbara Mastropietro mi invierà la bozza della sua ricerca. Il diritto, come ogni scienza umana, si rinnova costantemente: l’invenzione è un work in progress e pone costantemente problemi di riflessione e di soluzioni giuridiche nuove.
Lo aveva intuito Giustiniano che nell’emanare il Corpus Iuris Civilis con la costituzione Tanta affermava come tale opera cristallizzava il diritto per come si era a quel momento elaborato ma non paralizzava la creatività giuridica, sempre rinnovante ogni volta in cui venissero elaborati dalla pratica dei negozi giuridici nuovi, «quae adhuc in legum laqueis non sunt innodata», ossia, ancora non imbrigliati dalla legge.
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