«Una ragionevole provocazione»: così Michele Subert, presidente dell’Associazione Antiquari Milanesi definisce Amart, la mostra di antiquariato organizzata dall’Associazione stessa e da Promo.Ter di Confcommercio Milano, che dal 6 al 10 novembre torna con la sesta edizione negli spazi del Museo della Permanente a Milano. Provocazione perché? «Perché Milano è la città della moda e del design e più di ogni altra città italiana è proiettata verso il futuro. Credo che occorra un certo grado di audacia per presentare qui una mostra di antiquariato». Ecco perché, come già l’anno passato, la campagna di comunicazione, decisamente giocosa e smitizzante, è stata affidata all’agenzia Frova, Castori e Solcia, che ha riproposto il fortunato claim «L’antiquariato, un piacere contemporaneo», accompagnandolo però con una nuova serie d’immagini, tutte di pezzi del Metropolitan Museum di New York. Immagini in cui, fra gli altri, un antico scrittoio con leggio tutto intarsi e bronzi dorati diventa un «desktop», una sontuosa armatura da parata del XVI secolo diventa un «bodyguard» e la piccola «Annunciazione» di Botticelli uno «spoiler» ante litteram. Perché l’antico si trova perfettamente a proprio agio nel nostro tempo, «a patto però, precisa Subert, di essere di alta qualità e in eccellente stato di conservazione. Il mercato attuale ignora l’ordinario e il mediocre: più colto e consapevole, oggi ricerca il raro e l’inusuale di indiscutibile qualità e filologicamente ineccepibile. Il che vale per i dipinti, le sculture e anche gli arredi, finalmente non più semplici complementi o suppellettili decorative della casa, ma opere d’arte autonome, capaci di rivelare il gusto e la cultura di chi li acquista. Per queste opere c’è sempre richiesta; il problema se mai, per noi antiquari, sta nel trovarle».
La storia della galleria Subert lo insegna: «Noi siamo da sempre concentrati su cose di nicchia come le maioliche tra Rinascimento e Settecento o gli strumenti scientifici antecedenti il Settecento: è evidente che in questo caso non si può parlare genericamente di “arredi” o di decorazione, perché si entra nell’ambito del collezionismo». Difficile rispondere alla domanda se ci siano settori in risalita, mentre la certezza c’è per quelli più in sofferenza: «sicuramente gli arredi senza storia». Quanto agli arredi da collezione, un buon indicatore sarà l’asta che si terrà in novembre da Sotheby’s a Parigi, nella quale sarà battuta la prima parte dell’importante Collezione Giordano in cui figurano mobili nobilissimi del Settecento, ma anche rari smalti veneziani, pietre dure, micromosaici e altre simili meraviglie: «credo che questa vendita, continua Subert, offrirà segnali significativi dello stato di salute del mercato antiquario».
L’edizione 2024 di Amart vede l’ingresso di alcune nuove gallerie e conferma la partecipazione e l’avallo dei primari partner culturali dell’anno passato (il Museo Poldi Pezzoli, il Museo Bagatti Valsecchi e il Fai), cui si aggiunge ora MuseoCity, associazione con la quale l’Associazione Antiquari Milanesi sta progettando una sinergia al di là della mostra. A ognuno è destinato uno spazio nell’atrio del Museo della Permanente, dove i due musei espongono ognuno un’opera (al momento in cui scriviamo è confermata la presenza di una delle importanti armature antiche del Bagatti Valsecchi, mentre il Poldi Pezzoli, che l’anno scorso aveva esposto il ritratto del fondatore, di Giuseppe Bertini, sta selezionando l’opera da presentare). Sponsor tecnici, come l’anno passato, sono l’interior designer e progettista di architettura Studio Pelizzari, il broker assicurativo Ciaccio e, per il verde, Ingegnoli. Partner per la comunicazione il Gruppo Cairo e la società editrice Allemandi. Fra le novità, ci sono variazioni nella «vestizione» dell’ingresso (progettata da Studio Pelizzari); un nuovo, più agevole percorso tanto al piano terreno quanto al primo piano e l’ampliamento di alcuni stand grazie alla scelta di portare da 65 a 63 il numero degli espositori.
Michele Subert ha anticipato al «Giornale dell’Arte» alcuni degli highlight della mostra, fra le innumerevoli opere d’arte esposte, che coprono 700 anni di storia, dal Trecento (ma anche prima) a oggi: «Per i dipinti, segnala Subert, non si possono non citare il grande olio di Guercino “Eroismo di Muzio Scevola davanti al re etrusco Lars Porsenna”, firmato sul basamento dell’altare “Ioannes Franciscus Barberius” (Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino); “Le tentazioni di sant’Antonio Abate” di Camillo Procaccini; “Il giudizio di Paride” del padovano Pietro Liberi (una composizione dal taglio mai visto) e la “Danae” di Francesco Nuvolone, esponente della famosa famiglia di pittori lombardi». Non mancano le «Nature morte», fra le quali si segnalano quella di un campione di questo genere pittorico quale è lo Spadino (Giovanni Paolo Castelli), qui in collaborazione per le figure con Antonio Mercurio Amorosi; due tempere su pergamena di Octavianus Monfort, una delle quali ostenta un’aragosta adagiata sui frutti, e una natura morta di strumenti musicali velati polvere del bergamasco Evaristo Baschenis. Per l’800, c’è la magnifica tempera di Carlo Bossoli (il «proto-reporter di Cavour», lo definisce efficacemente Subert) con un interno del Teatro alla Scala e il milanesissimo dipinto di Luigi Bisi «Processione del Corpus Domini nel Duomo di Milano», mentre per i ritratti c’è quello, delicato, che Vittorio Corcos dedicò alla figlia. Magnifiche le opere in mostra di Giovanni Fattori e Telemaco Signorini («maestri non inferiori agli impressionisti, i nostri Macchiaioli, cui mancò soltanto un grande mercante come Paul Durand-Ruel che li promuovesse all’estero»). Il percorso s’inoltra nel ’900 con il giocoso olio «Pappagallo, civetta e uccello meccanico» di Fortunato Depero, dall’ottima datazione (1917), e gli iconici «Gladiatori» (datati 1930) di Giorgio de Chirico; e poi ancora, importante, «L’ultimo bagnante» (1938) di Carlo Carrà; un sensuale «Nudo coricato con drappeggio» (1940) di Achille Funi, fino alla fine del XX secolo con l’inusuale tempera «In viaggio sul Nilo» (1988) di Enrico d’Assia, talentuoso figlio di Mafalda di Savoia, e con un’opera «Senza titolo» del 1997 di Carla Accardi. Né poteva mancare la scultura, rappresentata, fra le altre, dalla «raffinata terracotta di “Minerva protettrice delle arti” di Joseph Chinard; dal grande busto in marmo di anziano gentiluomo di G.B. Comolli, firmato e datato sul retro (Comolli Fecit AN.1806), dalla “Testa d’acquaiolo” di Vincenzo Gemito, di sicura autografia (e non è così frequente per questo replicatissimo autore) e da due importanti gessi del primo ’900 di Leonardo Bistolfi». Per l’Oriente c’è un importante «Buddha seduto in dhyna mudra» in pietra (India meridionale, VI-VIII secolo), e tra i mobili e oggetti che travalicano la loro funzione originaria per entrare nella sfera del collezionismo sono da segnalare, conclude Subert «il superlativo (anche per la conservazione) secrétaire, firmato in due punti, del cremonese Giovanni Maffezzoli, l’allievo più illustre di Giuseppe Maggiolini, con le tipiche architetture che hanno fatto la sua fama; un’incredibile coppia di lumiere di legno dorato (1728) realizzate da Bartolomeo Steccone per Giacomo Filippo Durazzo; una bizzarra pendola francese a “lira oscillante”, in bronzo dorato, del 1780 ca, firmata Mathieu le Jeune, rara per le teste di gallo (uno dei simboli della Francia) anziché le più usuali teste d’aquila e una monumentale fioriera in marmo e bronzo di Pelagio Palagi». E poi, preziose incisioni (tra le altre, la splendida xilografia «Manao Tupapau I-Elle pense au revenant», 1894-95, di Paul Gauguin), bellissimi gioielli, tappeti da collezione e tutto ciò che può fare la gioia dei collezionisti e degli appassionati del bello.
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