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Franco Fanelli
Leggi i suoi articoliA mostre come quella allestita sino al 10 gennaio da Paolo Tonin si applica in genere l’etichetta di «confronto generazionale». Un’espressione giustificata dalla differenza anagrafica che separa Giorgio Ramella (1939) da Monica Carocci (1966) e rimarcata dai linguaggi adottati dai due: lui pittore di solida tradizione figurativa (ma capace di guizzi surreali), lei protagonista tra gli artisti che negli anni ’90 hanno adottato la fotografia come medium.
In mostra i ruoli sembrano ribaltarsi: uno stormo di modellini di aeroplano, costruiti dal «vecchio» pittore con legni di recupero e sospesi con fili invisibili, ne rivela una freschezza creativa che rimanda al gioco e all’infanzia.
La visione che ne offre la Carocci ha, al contrario, l’accento grave: l’artista ha fotografato i modellini in bianco e nero, sgranandone le sagome in gigantografie nelle quali gli aerei da giocattoli si tramutano in minacciose sagome.
Il volo dei variopinti aerei di Ramella sembra proseguire nei cieli della sua collega; ma che il clima predominante in mostra sia quello della visionarietà e della memoria lo confermano i quadri alle pareti, variazioni elaborate dal pittore torinese a partire da un vecchio francobollo della posta aerea, declinato, scrive Francesco Poli in catalogo, in «teatrini» i cui fondali mutano di tela in tela, tra archeologie di fantasia ed esotismo.
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